The Vegetable Man Project

Ideata nel 2002 da Dario Antonetti e Massimiliano Dolcini, già attivi in duo come Effetto Doppler, la follia del "Vegetable Man Project", giunta alla sesta uscita, si è fissata l'obiettivo di pubblicare 50 volumi di reinterpretazioni dell'oscuro classico di Syd Barrett (composto nel 1967 è ad oggi inedito) entro il 2030!!! Entusiasta sin dal lancio del progetto - assurdo, paradossale, patafisico - ho garantito agli ideatori le presentazioni sulle copertine delle prime due uscite, la prima in vinile in formato 10"...

 

 

"...vegetable man where are you?... syd barrett scava nel profondo di sé e trova in anticipo risposte sull’occidente alla deriva... nasci consuma e muori... la plastica galleggia nei liquami dell’anima – molto prima di seveso e chernobyl... è dissoluzione dello spazio-tempo, nell’attimo sacrale congelato della mano che afferra la carta di credito e indulge alla cassa dell’ipermercato... come si può trovare un posto in cui stare se tutto è business, baby? se ti senti già venduto, se ti hanno già venduto, ma non sai neppure bene a chi?... i dieci minuti, qui, di compressioni entropiche, cut-up allergizzanti, parafrasi sonore, cripto-visioni di sessanta artisti contemporanei per “la canzone delle canzoni”, sono il tempo giusto in cui l’uomo vegetale si risveglia golem all’alba sanguinante dell’eterno day-after dell’umanità finita schiava delle cose..."

(dal volume 1 su vinile formato 10" del 2003)

 

"Quando Emily la tonta smise di giocare e passò di moda, l’Uomo Vegetale venne portato in giro per le sagre di paese - irrisa dea Kalì con protesi plurime e profondo lifting facciale.

Aveva scarpe gialle e camicia paisley, l’Uomo, pantaloni color turchino e un orologio digitale ultima moda al polso. Con il videocellulare, gli occhi attoniti, riprendeva adulti e bambini ai piedi del palco che ridevano aggrappati ai loro bicchieroni di Coca-Cola e allo straripante pop-corn.

Nessuno aveva capito, comunque.

Così, i 22 pezzi di questo nuovo CD (tributo? denuncia? atto di disperazione?...) sono la storia rinnovata, la santa messa di quel fraintendimento, tramontata la Modernità."

(dal volume 2 su CD del 2004)

 

UNA RECENSIONE

Il terzo volume della saga “The Vegetable Man Project” esce in questi giorni in tiratura limitata a 500 copie, confermando tutti i pregi (tanti) e i difetti (pochi) di un’idea originale,  per certi aspetti bislacca, tributo all’opera di un genio della “popular music” – Syd Barrett -, che proprio con “Vegetable Man” fissò la data di scadenza della civiltà dei consumi, segnandone il tragico, beffardo declino.
In questo nuovo capitolo dell’impresa (ma va ricordato il 10” in vinile “fuori collana” pubblicato lo scorso anno) i gruppi che si provano a reinterpretare il pezzo di Barrett sono venti: in scaletta, com’è nella filosofia dell’impresa (che si è prefissata di raggiungere entro il 2010 le 1000 cover del brano…) musicisti italiani, americani, tedeschi, canadesi, svedesi, turchi e olandesi  - tutti o quasi rigorosamente sconosciuti – a rileggere con piglio personale la canzone che il chitarrista di Cambridge (forse la più autobiografica, certamente la più lacerante) non ebbe mai l’orgoglio di vedere pubblicata ufficialmente.
Ci auguriamo non ce ne vogliano gli altri autori dei pezzi se siamo rimasti colpiti soprattutto dalle belle riscritture degli Electric Orange (tedeschi) e dei Baba Zula (turchi), che stravolgendo armonia e melodia dell’originale, offrono un convincente compendio di filosofia barrettiana – arte dello scomporre, del frammentare, del distruggere per ricostruire – restituendoci una “Vegetable Man” triturata, passata nella centrifuga, fatta a pezzi con intelligenza, senza forzate “freakerie” di    maniera (spesso tipiche, ahinoi, dei gruppi italiani…): nel primo caso trattandola con vetriolo elettronico degno della gloriosa  stagione “krauta”; nel secondo, con un’impensabile riarrangiamento elettro-folk che attinge alla tradizione balcanica immergendo il pezzo nell’indovinata atmosfera di un mercato rionale (dove Barrett avrebbe potuto acquistare il suo orologio o la sua camicia di paisley…).
Menzione speciale (com’è d’uso nei concorsi a premi, dove questo autore non andrà mai, fortuna sua…), infine, per la conclusiva “L’omino vegetale” di Dario Antonetti, con Massimiliano Dolcini ideatore del “project”: riscrivendone il testo con folgorante ironia su musiche da “Battisti drogato”, Antonetti gioca a mischiare riferimenti del passato (Maisie, il blues dell’orchestrina, il pane allo zenzero…) e accenni al testo originale, con il beffardo ritornello “sono il figlio dei Pink Floyd, i vegetali siete voi” e lo spiazzante verso conclusivo “Ho trovato un posticino carino per me, è un po’ fuori mano per te: è il mio cervello!”
Unico difetto del progetto (che offre una bellissima copertina patafisica di Peter Lindahl e note fantascientifiche di Mirco Delfino) quello di non concludersi con questo volume e con questo, davvero inaspettato, pezzo, che più di ogni discorso intorno al destino del Cappellaio Matto  fa piazza pulita delle triviali retoriche e dei vomitevoli piagnistei sulla scomparsa dell’eroe passato a miglior vita (nella sua testa, appunto…).
(dal defunto sito de LaDeaBicefala, 21 dicembre 2004)