"Does the Octopus rise?"

La morte di Roger Keith Barrett, lo scempio dei mass-media, lo stupro di famiglia, lo sconcerto dei fan più sensibili.

Syd Barrett in bici per le vie di Cambridge nel 2001 (Daily Express, 22 novembre 2001).

 

Indice

Pag. 6 Introduzione. (23 febbraio 2008)                                                                  

Pag. 8 Muore Roger Keith Barrett. (12 luglio 2006)                                           

Pag. 8 La morte di Syd Barrett sui quotidiani italiani: miserie di un giornalismo senza dignità. (16 luglio 2006)                                             

Pag. 12 Syd Barrett che è in noi. (17 luglio 2006)                                               

Pag. 14 L’eredità umana di Syd Barrett. Un’intervista di Michele Pungitore a Luca Ferrari. (“Il Quotidiano della Calabria”, 28 agosto 2006)                

Pag. 15 Does the octopus rise?! Incredibile: all’asta tutti gli effetti personali di Barrett… (25 agosto 2006)                                                                          

Pag. 17 L’asta degli oggetti appartenuti a Roger Barrett: un aggiornamento. (5 settembre 2006)                                                                                                

Pag. 18 “Un coccodrillo s’è mangiato Mr. Barrett!” di Dario Antonetti (6 settembre 2006)                                                                                               

Pag. 19 Mattatoio n. 24 (Vendita all’incanto, con beffe e volgarità assortite, delle “mentite” spoglie di Roger Barrett).  (22 novembre 2006)       

Pag. 21 Gli volevano bene e si stanno spartendo le spoglie. Nuovo stupro in casa Barrett. (18 giugno 2007)                                        

Pag. 21 Lo sconcerto dei fan più sensibili.                                              

 

Appendici                                                                                    

      a. cronologia dei principali avvenimenti collegati alla morte di Roger Keith Barrett;

b. riproduzione delle pagine del catalogo della Cheffins;

c. “Why Not Buy Syd Barrett’s Bread Bin?” di Stuart Heritage (“Heckler Spray”, 24 novembre 2006);

d. i risultati dell’asta della Cheffins;

e. l’annuncio della vendita della casa di Roger Barrett (dal sito Web della Cheffins);

f. “Have you got it yet?” di Dave Thompson (“Big O”, settembre 2006);

g. “Nulla di tutto ciò che credi che io sia”. Verità e mistificazioni intorno alla cometa Barrett (intervento al "Convegno interstellare sulla cometa Syd Barrett", nell'ambito della V edizione della "Festa delle Invasioni", Cosenza 22 luglio 2002);

h. La settimana scorsa Barrett mi ha detto… (confessioni di un ex-barrettologo) (scritto il 25 gennaio 2005 per la "Vegetable Man Night!" di Lecco del 28 gennaio...)

1.

Introduzione

Alla morte di Syd Barrett (7 luglio 2006), ormai Roger Keith da oltre trent’anni, è accaduto l’esatto opposto di quanto ragionevolmente ci si sarebbe aspettato.

Dopo anni di riserbo, di giustificabile protezione da parte della famiglia – in particolare dei fratelli Rosemary e Alan – si è verificato l’inaspettato: nell’arco di un anno, i Barrett hanno messo all’asta e venduto la casa di St. Margarets Square in cui aveva vissuto il fratello con quasi tutto quello che c’era: mobili, oggetti personali, libri, biciclette, dipinti, scritti. Quasi tutto.

Dopo che per settimane la stampa aveva rimandato la stereotipata, logora immaginetta dell’artista ‘maledetto’ rimbambitosi con le droghe e finito in disgrazia, la famiglia Barrett ha venduto tutto il vendibile con la promessa di destinare una parte del ricavato in beneficenza.

Si è scoperto solo a quel punto che, a differenza di quanto si credeva da tempo (e la sorella Rosemary mi aveva confermato in occasione delle due interviste che ebbi modo di farle nel 1994 e 1995, donando a Barrett per suo tramite un milione di lire per potersi acquistare dei borghi e altri strumenti musicali…!!!) (1), Syd aveva percepito regolarmente le royalties derivate dalle esigue opere musicali prodotte ed il suo basso profilo era dovuto semplicemente a una scelta o, per lo meno, al totale disinteresse nei confronti dei beni materiali. “Per lui il denaro non aveva importanza”, ha infatti ammesso la sorella.

Per i fratelli, evidentemente, invece sì.

L’ammontare del suo patrimonio, a conti fatti, è nell’ordine dei 2.730.000 euro, una cifra ragguardevole per un artista che ha prodotto solo una manciata di canzoni molti anni fa. L’asta dei suoi beni ha fruttato all’incirca 164.000 euro, mentre la vendita della casa (di proprietà della madre defunta nel 1991 e, si presume, lasciata in eredità ai figli) ben 399.000.

            Dopo aver scritto d’istinto alcuni pezzi sul mio sito (https://www.lucaferrari.net) - frutto dapprima di sconcerto, quindi di rabbia, infine di amarezza -, ho pensato che potesse essere interessante ‘recuperare’ questa storia tutt’altro che edificante di meschinità e bassezze assortite. Non nuova, certo, ma a suo modo emblematica, oltre che paradossale: allo strenuo, dignitoso contegno di ‘resistenza’ di Roger Barrett al mondo - all’assedio volgare della stampa, dei fan, della discografia – dopo il suo funerale (va detto in forma privata) si è scatenata un’incredibile canea: ‘necrologi’ basati sui più logori e vieti luoghi comuni da parte della stampa internazionale (italiana inclusa, ovvio); un servizio televisivo della BBC (21 settembre 2006) girato nella sua casa mostrandone l’intimità al mondo per soddisfare finalmente le più bieche morbosità; quindi  l’asta di famiglia e la vendita della casa. Per finire con la vendita di un quadro e di una poesia adolescenziale da parte di una vecchia fidanzata…

Ai numerosi eventi organizzati per celebrarne la memoria (soprattutto in Inghilterra, America, Australia…), allo sconcerto dei fan più sensibili che hanno scritto il loro sdegno nei blog su Internet biasimando la vendita del patrimonio, c’è stato chi ha voluto approfittare della situazione per portarsi a casa un mobiletto IKEA appartenuto a Barrett, o una delle sue poltrone, un porta pane piuttosto che una carriola.

Ed è davvero idiota che nessuno abbia pensato di raccogliere le opere, gli scritti, il materiale artistico di interesse in una qualche forma (museo, fondazione, collezione pubblica, donazione a una istituzione pubblica) per renderlo accessibile a chiunque lo voglia (semplici appassionati, studiosi, artisti…).

È prevalsa la più becera speculazione (2) , con l’effetto irresponsabile e cialtrone di disperdere e cancellare ogni traccia di un grande musicista, a suo modo innovatore. Comunque rappresentativo di un’epoca importante, non solo in ambito rock.

Come gli ha augurato una fan in un blog commemorativo allestito dalla BBC, anch’io mi auguro che, dovunque sia Barrett, la sua bici abbia un campanello che suona. Di più: spero proprio che il campanello a forza di suonare perfori le coscienze di chi – in primis la famiglia – ha aspettato solo che si togliesse di torno per disperderne ogni traccia materiale per sempre.

(23 febbraio 2008)

 

Note:

(1) Avevo scritto infatti nella prefazione di “A fish out of water” (Stampa Alternativa, 1996): “(…) Ma l’occasione offertaci dell’editore di un’ennesima storia sul “caso Syd Barrett” ci ha consentito (…) di destinare parte del nostro compenso di autori direttamente a Roger Barrett per tramite della sorella, come atto riparatore della responsabilità che anche noi abbiamo avuto in questi anni nel contribuire, seppur in buona fede, ad arrecargli ingiustificabili fastidi” (pag. 9).

Nel corso dell’intervista del febbraio 1994, infatti, Rosemary aveva ammesso: “(…) Vede, lui desidera cose come un lettore CD, non ne ha ancora uno, ma lo vorrebbe.  Vorrebbe possedere delle cose, ma non ha soldi e quindi non può. Io gli do quello che posso” (cit., pag. 42). Approfondendo in modo ancor più esplicito lo stato di indigenza di suo fratello l’anno dopo, durante l’intervista dell’agosto 1995: “Roger non riceve più alcun diritto d’autore da molti anni. Nessuno si interessa di farglieli avere, e così non gli arriva una lira (cit., pag. 54). E più oltre, a proposito della pensione di invalidità: “Gliel’hanno assegnata dopo il ricovero in ospedale psichiatrico qualche tempo prima.  Riceve 40 sterline a settimana (circa 100.000 lire, Ndt.)” (cit., pag. 56);

(2) Non proprio inedita, nel caso di Barrett. Si ricorderà infatti che nel 2002 ci aveva già pensato l’”amico” fotografo Mick Rock con il volume “Psychedelic Renegades”, venduto inizialmente in edizione de-luxe (con firma – estorta? – dello stesso Barrett) per l’accessibile costo di £. 285 (cfr. al sito https://www.genesis-publications.com/books/barrett/). Un poster di Barrett è attualmente  in vendita a 60 dollari, mentre una sua foto in tiratura limitata a 1.650… (cfr. https://www.mickrock.com).


2.

Muore Roger Keith Barrett.

Muore Roger Keith Barrett, l'uomo. Syd - il musicista innovatore, rivoluzionario, iconoclasta - era già morto dal 1972.

Onore all'uomo che cambiò imperscrutabilmente la sua vita, oltre ogni logica aspettativa.
L'artista e la sua opera, per sempre.

 

"I hope your bike in heaven has a bell that rings. RIP at last".

"Mi auguro che in cielo la tua bici abbia un campanello che suona. Riposa in pace, finalmente".

(Karen Swan, Aberystwyth (UK), necrologio dal blog della BBC)

(12 luglio 2006, dal sito https://www.lucaferrari.net)

3.

La morte di Syd Barrett sui quotidiani italiani: miserie di un giornalismo senza dignità.

La morte di Syd Barrett, artisticamente risalente al 1972 (ultimo concerto pubblico a Cambridge), ha provocato una forte reazione sui mass media, anche italiani, dopo che per anni, al quasi assoluto disinteresse per il destino dell’uomo, erano stati pubblicati avvistamenti dell’ex fondatore dei Pink Floyd risibili e tendenzialmente scandalistici.

Ultimo in ordine di tempo, quello del freelance Damien Fletcher che il 6 gennaio 2006, giorno del sessantesimo compleanno di Barrett, si era presentato alla sua porta di casa per andarsene di lì a qualche secondo con la più classica delle risposte di Roger: “I can’t talk to you”, letteralmente “Non posso parlare con te”. Più verosimilmente: “Non ho niente da dirti”.

Annunciata solo lunedì 11 luglio da un non ben identificata “portavoce” (della famiglia? La sorella Rosemary? Il fratello Alan?) con un laconico “He died very peacefully a couple of days ago“, i quotidiani di mezzo mondo ne hanno diffuso la notizia solo il giorno dopo.

La lettura dei maggiori quotidiani italiani conferma, con lievi eccezioni, la pesante omologazione culturale che interessa da sempre il nostro paese e il perverso effetto di condizionamento delle principali agenzie di stampa, Internet compreso.

Generalmente, infatti, non c’è stato quotidiano italiano che non abbia desunto, quasi alla lettera, il testo diffuso dall’Associated Press Writer (o in alternativa quello dell’AFP di Londra) a cura di Jill Lawless che, almeno per un  giorno, è stato uno dei giornalisti più letti e clonati del mondo.

Il breve pezzo di Lawless (reperibile in Internet sul sito The Syd Barrett Archives all’indirizzo www.sydbarrett.net), riporta grosso modo quanto abbiamo avuto modo di leggere negli articoli de La Stampa, La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Il Giorno ecc.:

-          i pochi dettaglia trapelati sulla morte (data, nessun riferimento alle cause, si presume il diabete)

-          la decisione della famiglia di fare un funerale privato

-          la reazione dei Pink Floyd (“very upset and sad to learn of Syd Barrett’s death”)

-          la sommaria ricostruzione della carriera coi Pink Floyd e da solista fino all’abbandono delle scene e alla vita ritirata di Cambridge

-          la reazione di David Bowie che dal suo sito Web dice di essere triste e di considerare Syd la sua maggiore fonte di ispirazione

 

Le lievi varianti, hanno riguardato più che altro aneddoti, comunque già noti:

-          la decisione della band agli inizi del ’68 di non andare più a prendere Syd per i concerti che di fatto segnò la fine di “quei” Pink Floyd

-          l’improvvisa, inquietante apparizione di Barrett durante la session di registrazione di “Wish You Were Here” con la nota (straordinaria!) battuta “Mi sembra un po’ datata, no?”.

-          i recenti tributi di Waters a Live 8 e di Gilmour (nel suo ultimo tour)

-          la citazione stralciata del testo di “Wish you were here”

 

Titoli

Interessante notare che in genere i quotidiani italiani fanno riferimento nei titoli alla “pazzia” di Barrett - il “folle diamante”, “il cappellaio matto”, “il diamante pazzo” (solo il Corriere della Sera, comunque, utilizza una foto di Barrett visivamente “drogato”…).

Se Barrett, che è stato per oltre trent’anni lontano dalle scene, è “pazzo”, allora tutto è chiaro e più “dirigibile”. Il semplice sillogisma è: “era pazzo, ovvio, altrimenti sarebbe ancora sul palco con Waters a suonare “Wish You Were Here”, no?” (!?)…

 

La Repubblica: “Addio al ‘diamante pazzo’ si è spento Syd Barrett”

Corriere della Sera: “Addio a Syd Barrett, genio fragile dei Pink Floyd”

Il Manifesto: “Ciao Syd, cappellaio matto”

La Stampa: “Addio al genio di Syd Barrett folle diamante dei Pink Floyd”

Il Foglio: “L’assenza del rock”

Il Giorno: “È morto Syd Barrett un mito assoluto”

L’unità: “Senza Barrett niente Pink Floyd”

 

Contenuti

Come sempre è accaduto, l’impossibilità di spiegare il “mistero” del suo autoimposto isolamento ha indotto una volta di più i giornalisti a ripetere gli abusati luoghi comuni della follia e della droga che ancora tanto scuotono le coscienze della classe media.

Come non bastasse, nel definire “modesta”, “umile” la sua casa di Cambridge e “basso” il suo “profilo” di questi anni, il giornalismo ufficiale non ha mancato di indulgere sui dettagli del suo aspetto fisico: “imbolsito”, “grasso”, “pelato”… dimenticando che, in ogni caso, si trattava di una persona di 60 anni che ben difficilmente avrebbe potuto assomigliare al Barrett “eroe psichedelico” dell’iconografia rock (d’altronde, guardare David Gilmour o Mick Jagger per credere…).

 

Sampler 1: “(…) Nato a Cambridge aveva 60 anni e da tempo soffriva di diabete. Ma a ucciderlo virtualmente, a bruciarne il cervello anni prima era stato l’Lsd che aveva peggiorato la sua instabilità mentale. Da anni l’ex Pink Floyd viveva recluso, nella sua città natale e aveva ridotto al minimo i contatti con il mondo esterno rifugiandosi nel seminterrato della casa dei genitori”.

(Andrea Laffranchi, “Corriere della Sera” pag. 44)

 

Sampler 2: “(…) Quindi si ritirò, tornò a Cambridge nella casa della madre e, da allora, non fu più Syd Barrett, ma solo Roger Keith Barrett, il musicista che aveva toccato il cielo con un dito, e aveva bruciato le sue ali volando troppo vicino al sole”.

(Ernesto Assante, “La Repubblica” pag. 43)

 

Sampler 3: “(…) Nella roulette russa lisergica – là dove tanti avevano scovato avventure emozionanti, incontrato Dio, ritrovato la propria innocenza infantile, scoperto i segreti del cosmo – Barrett si era dato appuntamento con la pazzia, accelerando l’incontro con dosaggi massicci (spesso inseriti nelle sue bevande a sua insaputa dagli scriteriati coinquilini londinesi). La sua personale deriva spaziale e la conseguente scelta dell’anonimato – da Cappellaio Matto a banale Howard Hughes della suburbia inglese – non ha scalfito per nulla la leggenda di uno dei protomartiri psichedelici, uno dei tanti talenti che si è schiantato contro la dura realtà dello show business (…)”.

(Matteo Guarnaccia, “Il Manifesto” pag. 14)

 

Sampler 4: “Syd Barrett aveva sessant’anni, e da quasi quaranta aveva lasciato i Pink Floyd. La mente bruciata dalla follia e dalle droghe, aveva abbandonato la scena all’indomani del disco d’esordio (…)”.

(Gabriele Ferraris, “La Stampa” pag. 1)

 

L’eccezione alla regola

Unica eccezione, a nostro modo di vedere, il bel pezzo di Toni Jop su “L’Unità”, che rivela una sensibilità e una lucidità rara sul tema, offrendo un punto di vista (giustamente incazzato) “politico” sulla parabola umana e artistica del musicista. Lo riportiamo integralmente per chi non abbia avuto modo di leggerlo:

 

UN ESCLUSO DA LSD E POTERE

“Perché? Era ancora vivo?”: sì, era vivo, un po’ sepolto, ma vivo il vecchio Syd Barrett. Non fa grande differenza – come si può desumere dalla qualità della domanda stupita che ci siamo sentiti rivolgere ieri da un bel po’ di amici – che se ne sia andato quarant’otto ore fa o venticinque anni fa. Non per il circo rock, non per il mercato. Nemmeno per la memoria di chi è cresciuto mentre quel musicista  fuori targa azzardava giochi che avrebbero fatto scuola mescolando suoni e luci sul palco. Non stiamo qui a piangere sulla dimenticanza o sul cinismo dell’esistenza. Nemmeno ci va di suonare le trombe della retorica che scatta facile sulla figura e sul destino del genio incompreso che si spegne per autocombustione.  Barrett ha fatto la sua strada in un tempo in cui l’acido lisergico veniva raccomandato come possibilità concreta di aprire la mente, di sfondare una dimensione che appariva costretta, angusta, fortemente parziale. Barrett aveva adottato come viatico l’Lsd. Come tanti altri, del resto: non saprete mai quanta gente in quegli anni compì lo stesso passo, perché si cede volentieri alla promessa di una terra promessa che sta lì, dentro la vostra testa e basta una chiave per entrarci. Ma come diceva un caro amico schiantato  un’era fa in India da chissà quale cocktail di veleni, “non c’è droga che trasformi una testa di cazzo in qualche cosa di meglio”. Barrett era un creatore, un poeta e lo sarebbe stato anche senza bruciarsi con quelle pastiglie, anzi, magari sarebbe ancora qui,  come Gilmour e Waters, musicisti con le gambe forti abbastanza per reggere un ragionevole slalom tra gli eccipienti chimici e il loro potere. Perché anche in questo caso stiamo parlando di potere: il potere della chimica, di chi la produce; di chi la smercia e di chi consente che sia smerciata mentre finge di proibirla. A quanti artisti soprattutto rock in questi decenni è costata la vita per questa dinamica di potere? Ma Barrett non ha affrontato solo questo calvario. Altrimenti, parlando di Syd, le agenzie di ieri non avrebbero mai titolato, come hanno fatto in omaggio  a una cultura che si alimenta di diagnosi e di luoghi comuni che nessuna droga riuscirà mai a frantumare, “al confine tra genio e follia”. Con parole depurate dall’epica, si afferma che il fondatore dei Pink Floyd era matto. Si potrebbe dire: infatti, ha frequentato per decenni gli ospedali psichiatrici. Era sofferente, questo sì, ma, messo fuori dalla porta, ha deciso lui di dire no al business – che follia -, anche perché non era in grado di rispettarne le regole, il potere. Forse sta qui la ragione del suo addio alla musica. Un giorno, sacchetto della spesa in mano, capitando per caso negli studi in cui i suoi Pink Floyd stavano registrando “Wish You Were Here”, dedicata a lui, disse: “Un po’ datata, mi pare…”. Semplicemente, aveva ragione”.

(Tom Jop, “L’Unità” del 12 luglio 2007, pag. 19)

 

La morale è sempre quella…

Chi nel corso degli anni ha reso la sua “scomparsa” un oggetto di freakeria da mandare in pasto al lettore assetato di gossip, anche di fronte alla sua morte sembra non riuscire a scrivere qualcosa di intelligente, se non pietistiche e moralistiche considerazioni a margine.                                                    L’importante è che lo show continui, naturalmente, fino  al prossimo morto da celebrare.

 

Un aneddoto finale

Il giorno 12 vengo contattato via mail da un giornalista della radio del Corriere della Sera, in cui mi propone di intervenire la mattina dopo per un breve ricordo di Barrett. Leggo la mail solo il 13 e rispondo che, in ogni caso, sono comunque disponibile a dire qualcosa.                                                                Risposta: “Ci scusi, è troppo tardi, la notizia è già passata, ci sentiamo magari in un’altra occasione”.                                                                           Così, sono qui ad aspettare il giorno che tumuleranno la salma.

(16 luglio 2006)

4.

Syd Barrett che è in noi.

"Se sei lieto
sei già re"

(proverbio arabo)

 

C’è un po’ di Syd Barrett in ognuno di noi. Oltre ogni facile retorica, oltre ogni misera divinazione da star-system, il fascino duraturo esercitato dalla “scomparsa” di Barrett, il musicista, dalle scene più o meno luccicanti dello show biz, è una favola postmoderna, con una morale semplice e profonda: é possibile rinunciare al guadagno, all’esposizione mediatica che rende facili idoli di masse silenti e prone alle novità del momento, al successo effimero che trasforma anche il più incapace, anche il privo di talento in vip (very important person…?!), “riconoscile” per la strada, “famoso”.

Una morale semplice ma profonda, lanciata ai posteri con l’elementare atto (importa, è mai importato, quanto consapevole?) di chiamarsi fuori, “ritirarsi”, “scomparire” dalla macilenta apparizione quotidiana, continua, su giornali-televisioni-eventi mondani che rende tutto indistinto, privando ognuno delle proprie peculiarità, omologando corpi, sentimenti, idee.

Syd Barrett ha riscritto una storia antica, religiosa: non morendo, non suicidandosi, continuando a vivere semplicemente come chiunque altro, come persona “normale” senza alcuna aspirazione di “successo”: del successo contrabbandato dal sistema contemporaneo per cui se non “appari non esisti”. Barrett esisteva comunque senza esserci, perché era in ognuno di noi e rappresentava, vivendo, con quello che per le logiche perverse della società dello spettacolo era un “basso profilo” (e chi ha, per converso, un profilo “alto”, oggi…? Cosa significa averlo?). Aveva rinunciato al banchetto delle celebrità, aveva ridotto ai minimi termini la sua comunicazione con il mondo esterno (attenzione: il mondo esterno dei giornalisti, dei fan rompiballe, della retorica ipocrita dei Waters-Gilmour-Mason-Wright che con il loro successo planetario, riaccendevano periodicamente l’attenzione su di lui provocandogli solo fastidi… non certo quello dei bambini che giocavano davanti a casa, dei negozianti dove acquistava pennelli, colori, cibo, dei famigliari con cui trascorreva le festività, non la sorella che lo passava a trovare di frequente…), aveva da anni inaugurato una nuova vita, rinato Roger Keith, incurante della propria immagine “pubblica”, disinteressato ad apparire “affascinante”, “misterioso”, “intrigante”… a dispetto dell’accanimento periodico dei mass media che indulgevano volgarmente sulla fatale, ovvia, discrepanza fra l’avvenente, giovane “eroe psichedelico” e il cinquantenne/sessantenne calvo e cadente (ma, come per tutti noi, invecchiando, Barrett ha avuto i suoi ovvi alti e bassi fisici: sufficiente comparare le fotografie che lo ritraggono dagli inizi degli anni Ottanta a questi ultimi mesi…).

Saperlo là, indaffarato nel giardino della sua casa di St. Margarets Square, a Cambridge, era una consolazione per molti. Per tutti coloro che si sono sentiti Barrett almeno una volta, nelle giornate lente e noiose di “Dominoes”, nell’alienazione del lavoro di “The Scarecrow”, nell’assurda schizofrenia del “dover essere” (alluso in “Jugband Blues”), nella tragica coscienza di “Dark Globe” che qualcosa era finito per sempre (un’amicizia? l’infanzia? un sentimento intimo…?) o nella felicità insensata e infantile di “Bike”, nell’ebbrezza della scoperta di “The Gnome”, nella disperazione di “Feel”…

Oltre la morbosità del fan, oltre l’accanito, perverso piacere del gossip, saperlo vivo era un antidoto psicologico rassicurante nei confronti dell’insensatezza dell’esistenza che a volte ci assale.        

(17 luglio 2006)

5.

L'eredità umana di Syd Barrett. Intervista di Michele Pungitore a Luca Ferrari

Lo scorso 9 luglio scorso scompariva Syd Barrett, fondatore dei Pink Floyd e musicista solista tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70. Un mito e un genio musicale, che ha scalfito velocemente la scena rock inglese per appartarsi definitivamente nella sua Cambridge, dove è deceduto, lontano dallo show business.

La sua esperienza artistica ed esistenziale è stata oggetto di curiosità, studio e indagine, spesso fitta di misteri inverosimili. Luca Ferrari, critico musicale, è probabilmente la persona italiana che meglio conosce quest'artista. Ferrari è autore di tre libri sul musicista inglese: Tatuato sul muro. L'enigma di Syd Barrett (Gammalibri, 1985), Syd Barrett (Stampa Alternativa, 1989) e Syd Barrett. A fish out of water (Stampa Alternativa, 1995). Questa intervista vuole sfatare i falsi miti e leggende di un artista visionario della musica contemporanea.


Come commenta la scomparsa di Syd Barrett, arrivata quando il musicista inglese era in un certo qual modo già scomparso dalla scena da decenni?

«È vero, Barrett è morto almeno due volte. La sua storia a me è sembrata paradigmatica delle logiche culturali del business discografico, dello stesso giornalismo musicale, troppo spesso interessato quasi esclusivamente a costruire "casi" anche dove non ci sono. Barrett si può dire fosse già morto nel 1972, data del suo ultimo concerto ufficiale, ed è sopravvissuto nelle coscienze di molti sia per l'assidua morbosità di certa stampa interessata allo scoop (come fotografarlo mentre portava la spazzatura nel bidone davanti a casa) che per il conseguente successo planetario del "suo" gruppo, i Pink Floyd. Lui, differentemente da altre icone del rock e dello spettacolo (Hendrix, Morrison, Marylin, James Dean) non è morto, né si è suicidato; ha semplicemente cambiato vita, ritirandosi dai riflettori. Ha continuato a vivere, noncurante delle costanti attenzioni dei media e dei fan, in una casa alla periferia di Cambridge. Era là, solo, ad occuparsi del giardino. In molti erano a conoscenza di dove abitava e hanno cercato di "stanarlo" dalla sua tana, ma a voler essere onesti, non c'era un solo motivo valido per andare a importunarlo. Il suo ostinato mutismo, la sua pervicace assenza, hanno "parlato" per lui.»

 

Sicuramente intorno alla sua figura si è creato un alone mitologico forse sproporzionato, ma adesso che non c'è più si potrebbe riportare il personaggio a quello che realmente è stato?

«Nei diversi libri che ho scritto e curato sulla vita e l'opera di Barrett ho cercato di proporre un punto di vista il più possibile equilibrato della vicenda, depurandola dai ricorrenti luoghi comuni e dalle falsità. Barrett era un giovane aspirante pittore finito per caso nel mondo della musica pop: da creativo qual era ha cercato di sperimentare con gli strumenti di cui disponeva il linguaggio della forma-canzone e la chitarra elettrica. Per certi aspetti è stato un precursore nell'approccio tecnologico all'arte della pop song, contribuendo in modo decisivo all'evoluzione delle tecniche applicate all'uso della chitarra elettrica e al rapporto tra suono e immagine: fu soprattutto lui, probabilmente proprio in quanto pittore, uno dei fautori dei primi light-show che si tennero in Inghilterra, rivoluzionando l'idea stessa di spettacolo musicale. Nell'esperienza dei primi Pink Floyd è stato sottovalutato il ridimensionamento dell'immagine della pop star a favore di una più determinante percezione audio-visiva dell'esperienza musicale. Barrett non è stato un chitarrista dalla tecnica rivoluzionaria come Hendrix, ma è riuscito a sviluppare l'uso della sua chitarra fino alle estreme conseguenze per le conoscenze dell'epoca, aprendo la strada a una generazione di compositori di art song quali David Bowie e Brian Eno, che non a caso ne hanno poi tributato il genio».


Barrett è stato aggirato dallo show business o è riuscito lui ad aggirarlo, consapevolmente o no?

 «A mio modo di vedere è stato Barrett ad "aggirare" il music business e non viceversa. Invece capita di leggere il contrario, perché se per qualche ragione rinunci ai presunti benefici delle popolarità significa che hai qualche problema. È un sillogismo dilagante, da cui è dipeso lo stigma che ha segnato la storia di Barrett artista: se non rispondi alle aspettative della società dello spettacolo, chissà forse sei pazzo o drogato, hai avuto per forza qualche problema profondo durante l'infanzia. Nessuno può negare oggi che Barrett sia ricorso alla droga per trovare una via d'uscita alle pressioni e alla routine imposte dalle condizioni materiali del successo, ma da qui a sostenere che si sia "bruciato il cervello" per sempre, mi pare ce ne corra. Il fatto certo, osservabile, è che Barrett si è progressivamente allontanato da quel mondo, tanto da negare a sé stesso e agli altri la sua passata identità, e riappropriandosi del suo nome di battesimo, Roger Keith. Che l'abbia fatto coscientemente o meno, nessuno può dirlo: ma a questo punto cosa importa?»


Ho trovato bizzarra, in un tuo scritto, la testimonianza di un vicino di casa di Barrett a Cambridge, in cui imputava lo stato di salute di Syd alle sue frequentazioni negli ambienti londinesi, mentre prima veniva considerato un ragazzo "normale".

«Anche i suoi stessi familiari, nel corso degli anni '70, hanno avuto la stessa reazione: si imputava all'ambiente di Londra la causa del suo apparente disagio psichico. Va compreso, considerata la realtà provinciale di Cambridge e l'estrazione borghese della famiglia Barrett: i fratelli sono tutti professionisti, il padre era patologo di fama (alla morte gli dedicarono una delle sale dell'ospedale principale della città), l'unico a intraprendere una carriera "alternativa" alle aspettative famigliari era stato Syd».

 
Cosa ci ha lasciato Syd Barrett oltre le sue splendide canzoni? Le future generazioni potranno raccogliere qualcosa da lui?

«Sono convinto che Barrett ci abbia lasciato - oltre allo straordinario (per sperimentazione di nuovi linguaggi e slancio creativo) poco materiale prodotto, comunque ancora tutto disponibile - un'eredità importante, ancora più significativa se rapportata all'epoca che viviamo: si può rinunciare al successo, alla popolarità, al denaro, addirittura al benessere materiale, per perseguire un equilibrio profondo, una propria strada nell'esistenza, anche contrastando le aspettative sociali, familiari, culturali. Una lezione semplice ma profonda che ha del religioso, per certi aspetti: rimanda ad esperienze mistiche e a figure fondamentali della nostra cultura spirituale quali San Francesco o Ignazio di Loyola, che seppero spogliarsi di tutto per essere se stessi e realizzare il disegno divino. Forse sto esagerando, ma sono convinto davvero che la storia di Barrett andrebbe approfondita proprio a partire da questo straordinario valore aggiunto: è possibile che nella "normalità" del nostro quotidiano ci sia la chiave del senso più profondo dell'esistenza umana. Può sembrare paradossale e forse non lo è poi tanto: la breve, folgorante parabola artistica di Syd Barrett sembra essere stata funzionale a preparare questa sorta di "mistica" che oggi, alla sua morte, con parole e idee anche diverse, in molti attribuiamo all'esperienza del musicista di Cambridge».

(“Il Quotidiano della Calabria”, 28 agosto 2006)

6.

Does the octopus rise?! Incredibile: all'asta tutti gli effetti personali di Barrett...

È davvero qualcosa che indigna nel profondo la notizia, diffusa il 22 agosto scorso, che gran parte degli oggetti posseduti da Roger Barrett verranno messi all’asta dalla Cheffins Auctionners di Cambridge (https://www.cheffins.co.uk) alla fine di novembre.

Ci scrivono alcuni fan parole dure, sconcertate, che tradiscono grande incredulità. Non possiamo che pensarla come loro.

“Non sopporto l’idea di qualcuno che giri con la bicicletta dipinta da Syd”, dice Leonardo, la bici  che lo portava in giro per Cambridge negli ultimi anni. “I can't believe it”, scrive Alec dall’America. “I can't understand someone in the family wanting to protect these things”.

Pare ci saranno alcuni quadri recenti, oggetti, lavori di bricolage (“anche se non era molto capace”, afferma il comunicato stampa della casa d’aste), libri, due altoparlanti, forse alcuni dischi, un tavolo da lavoro, una chitarra classica e poco altro. Pare anche, addirittura, la staccionata della casa, che cintava il giardino…

Confessiamo di essere rimasti spiazzati dalla notizia, perché è evidente, salvo smentite improbabili, che la decisione di mettere all’asta gli effetti personali di Barrett è dovuta esclusivamente ai suoi famigliari. Chi si aspettava speculazioni di ogni tipo, in particolare da parte del business discografico, sarà rimasto più che sorpreso: ci ha pensato prima la famiglia…

Vogliamo credere che si tratti di oggetti di poco conto, in fondo, che le cose appartenute veramente a Roger restino alla sorella e ai fratelli; che, magari, la vendita all’asta possa essere finalizzata a sostenere qualche nobile causa (una fondazione alla memoria, ad esempio? La vendita dei quadri a qualche galleria pubblica permanente?).

Comunque vadano le cose (se non fosse altamente complesso e fantasioso, sarebbe davvero una magia che si costituisse un comitato di fan e raccogliesse i fondi necessari all’acquisto di ogni cosa, da cedere a qualche ente pubblico per consentirne la visione a chi lo voglia…), ci pare che la questione stia in questi termini (decisamente amari): che nel come nel sentimento collettivo è stata profonda e inconsolabile la perdita di Barrett, perché come già abbiamo scritto altrove “in ognuno di noi”, si ha oggi la sensazione di essere stati  derubati. Perché Barrett, anche dopo il ritiro, è “appartenuto” appunto a tutti coloro, tanti, che l’hanno amato.

Quei suoi oggetti personali, tanti o pochi che siano, appartengono infatti a tutti e a nessuno. Sarebbero dovuti rimanere in famiglia (o in una galleria pubblica) e nel ricordo dei tanti.

(25 agosto 2006)

7.

L’asta degli oggetti appartenuti a Roger Barrett: un aggiornamento.

Come avevamo immaginato, la famiglia Barrett mette all'asta la casa e alcuni degli oggetti di Roger Keith che non sembrerebbero, almeno a giudicare dalle foto rese pubbliche dal curatore Martin Millard, così esclusivi e significativi: si tratterebbe delle due biciclette colorate a mano dallo stesso Barrett, di uno sgabello, un quadro ad olio raffigurante un paesaggio in stile vangoghiano, alcuni schizzi, un album su cui Roger ha incollato estratti da articoli e recensioni d'arte, due altoparlanti costruiti a mano, una chitarra classica praticamente nuova, libri, dischi e poco altro. Il tutto sarà pubblicato un paio di settimane prima della data dell'asta (29 novembre 2006) su un catalogo a colori (prezzo 10 sterline, spese di spedizione incluse) richiedibile all'indirizzo della casa d'aste: Cheffins, Clifton House, 1&2 Clifton Road, Cambridge - CB1 7EA, England.

Interpellato personalmente da noi, il curatore ha spiegato che "gli effetti personali sono stati messi all'asta su decisione della famiglia, che ha trattenuto alcuni pezzi come ricordo". Alla data del 29 agosto non era ancora disponibile un inventario degli oggetti, che "dovrebbero essere da 20 a 40 in tutto" e non è prevista al momento una base d'asta su cui fare le offerte.

Alcuni appassionati, scrivendoci indignati, suggeriscono queste "azioni di contrasto":

1. fare una colletta internazionale per acquistare tutto in blocco, casa compresa, e farne un museo/fondazione intitolata a Syd Barrett;

2. indurre qualche ente ad acquisire la casa con gli oggetti e farne un museo alla memoria;

3. "proposta Dario Antonetti" (Vegetable Man Project), che riportiamo integralmente:

 "(...) Il mio primo impulso è stato un violento crampo allo stomaco. Poi il mio cervello si è sdoppiato e una delle due parti è corsa a rompere il porcellino - quello rosa - nel quale da anni deposito i miei risparmi. Chissamai che qualcosina mi potessi accaparrare, nel mio piccolo, anch'io!? vuoi mettere... il quadretto di Syd in cameretta? Eppure il crampo non se ne andava. Il giorno dopo, da grande appassionato di fantascienza quale io sono, ho avuto un'idea. Ve la espongo in poche parole.

Uniamo le nostre forze. Avviamo (si dice così?) una petizione al fine di far pressione sulla famiglia dello zio defunto e sugli stessi Pink Floyd chiedendo alla prima di rinunciare all'asta e ai secondi di acquistare tutto in blocco - casa di Barrett compresa - ed istituire un museo dedicato all'artista scomparso".


Barrett sorriderebbe all'idea di un museo/fondazione/centro culturale o quant'altro in sua memoria, ne siamo sicuri. Anche perché in tal modo sentirebbe vanificato tutto lo sforzo di strenua "elusione" da quel mondo che oggi vorrebbe imbalsamarlo e farne la meta (stavolta "istituzionalizzata") di orde di "anime in pena" in pellegrinaggio...
Di qui alla beatifcazione, alla produzione di santini, acque benedette, sanguinamenti stagionali... poco ci mancherebbe.

Barrett ne sarebbe inorridito. Antieroe per eccellenza, sentirebbe, ancora una volta, di essere stato tradito...

(5 settembre 2006)

8.

Un coccodrillo s’è mangiato Mr. Barrett!

di Dario Antonetti*

"La morte è la migliore consigliera, recita Carlos Castaneda per bocca dello stregone Don Juan. Eppure chi se ne cura? Io stesso, lo ammetto, raramente le concedo un pensiero. Come fosse materia competente solo ad altri. E mai, proprio mai, mi ha sfiorato l’idea dell’eventualità che un giorno toccasse anche a lui. Gli eroi son tutti giovani e belli, cantava Francesco Guccini. Giovani, belli e immortali aggiungo io. Dite: se un viandante vi fermasse all’improvviso, inchiodandovi con lo sguardo e con una mano piantata sulla vostra spalla esclamasse: "Syd Barrett!", quale immagine scoprireste di avere tatuata sul cervello? Quella dell’uomo ordinario e un po’ avanti con gli anni, apparentemente assorto in ordinari pensieri, in ordinarie faccende affaccendato? O forse quella del folletto scapigliato, bello come il Sole, Signore dell’Astronomia alle porte dell’alba, pittore di insetti ritratto da Vic Singh e Mick Rock? Non ditelo. Conosco la risposta.

Ed è così che mentre la nostra benedetta, mai sopita, adolescenza ancora si gingillava con l’erotica fantasticheria dell’improbabile ritorno di Syd il Messia, ci ritroviamo col traumatico ingombro del cadavere di Roger Keith il Malato.

La sua seconda morte; mentre già s’avanzano quelle future annunciate da squilli di tromba di chi scopre di avere – forse – ancora qualche cosa nel cassetto e chi favoleggia di innumerevoli schegge disseminate nei giardini magnetici degli archivi EMI. Per tacere dello scempio in atto ad opera degli stessi famigliari.

La ragione è scritta sui rovi, ma i rovi hanno spine. Meglio bruciarli, disperderli al vento con certificato di autenticità allegato.

Addio signor Barrett. Avremmo voluto che tu fossi qui. Per mettere in chiaro che in realtà qui non c’eri. Ci vediamo su ebay".

*(musicista, animatore del Vegetable Man Project)

(6 settembre 2007)

9.

Mattatoio n. 24 (Vendita all’incanto, con beffe e volgarità assortite, delle “mentite” spoglie di Roger Barrett).

Come avevamo immaginato, la stampa “specializzata” italiana ha tributato Syd/Roger Barrett con articoli nella maggior parte dei casi assolutamente inadeguati a penetrarne l’esperienza l’esclusiva e l’importanza nell’ambito della popular music.
Ultimo in ordine di tempo un risibile articolo di Riccardo Bertoncelli pubblicato da “Mucchio Extra” (il n. 23, autunno 2006), straripante di luoghi comuni, ovvietà e imprecisioni (ma c’è da giurarsi che glielo abbiano pagato bene)…

E se nelle settimane passate mensili come “Rockerilla”, “Rockstar”, “Rumore”, “Rocksound”, “Blow Up”, “Buscadero”, “Sonic” (ma quanti sono?!) si sono limitati più che altro a frettolosi necrologi (solo “Mucchio”, va detto, si è distinto per il tentativo di andare oltre la notizia telegrafica affidando sul n. 626 del settembre 2006 una sentita rilettura a Federico Guglielmi e John Vignola), non molto meglio è riuscita a fare la stampa inglese, il cui unico merito – a nostro modesto parere – sta nell’aver richiesto ad alcuni presunti ‘testimoni autorevoli’ della storia del musicista di esprimere il loro cordoglio spiegando in qualche modo l’influenza che Barrett ha avuto nella loro storia artistica (“Mojo”, che affida la rilettura storiografica a Rob Chapman, ha pubblicato, tra le altre, dichiarazioni di Robyn Hitchcock, Jimie Reid, Captain Sensibile, David Allen, Kevin Ayers, John Frusciante…; “Uncut”, che propone saggi di David Cavanagh e David Stubbs e un lungo ricordo di Mick Rock, di Julian Cope, Bobby Gillespie, David Bowie, Damon Albarn e Ray Davies, mentre “New Musical Express”, ormai sbiadita brutta copia del glorioso settimanale degli anni Settanta, risibili battute di Graham Coxon, Pete Doherty…): un’attestazione di stima incondizionata, transgenerazionale, non c’è dubbio.

Nessuna ‘lettura’ alternativa, comunque, nessuna provocazione alla visione più ricorrente dell’artista “maledetto” rimbambitosi con le droghe e finito in disgrazia, affermatasi a partire dai primi articoli di Nick Kent (1973) e Kris Di Lorenzo (1978).
Nessuna… ad eccezione della felice e coraggiosa analisi di Dave Thompson, che estendendo alcune nostre tesi di questi anni arriva ad immaginare una sorta di consapevole beffa clamorosa ordita da Barrett ai danni dello star system… (cfr. il pezzo dal titolo “Have you got it yet?” disponibile al sito Big O all’indirizzo https://www.bigozine2.com/features06/DTsyd.html).

Noi crediamo che comunque Barrett sorriderebbe di tutto questo vociare isterico, così come sarebbe sorpreso (e infastidito) che il suo appartamento possa aver suscitato l’interesse morboso della BBC che lo scorso ottobre ne ha girato un breve servizio (scaricabile al sito di You Tube all’indirizzo:

 https://youtube.com/watch?v=Spda7SEko30&mode=related&search=) indulgendo sulla scarsa abilità mostrata da Barrett nell’arte del bricolage (!!!).

E mentre un gruppo di acerrimi fan che gravitano intorno all’interessante sito Internet “Astral Piper” (https://www.sydbarrett.org) propone a famiglia e Comune di Cambridge di erigere nientemeno che una statua alla memoria del musicista (altra cosa che gli farebbe venire la varicella…), nell’attesa dell’asta delle “spoglie” di Roger (prevista per il prossimo 29 novembre), che immaginiamo intaserà linee telefoniche e computer, a richiesta è intanto disponibile il catalogo della Cheffins, che offre una panoramica completa degli oggetti in vendita (oltre settanta) attestando una volta di più il pessimo gusto della famiglia Barrett.

Tra incredibili carabattole costruite o 'rivisitate', pare, da Barrett in persona, alcuni quadri di indiscutibile interesse (la natura morta riprodotta in questo articolo, molto accattivante, è del gennaio 2006…) - uno regalato alla sorella Rosemary ai tempi della Camberwell Art School (ma come fa a venderlo?)…

Dato che da ormai venticinque anni ci occupiamo di musica rock, abbiamo avuto modo di assistere a “razzie” della volgarità più varia: dalla famiglia Hendrix che ne ha rilanciato il catalogo del grande chitarrista con tanto di merchandiser grottesco (cfr. al sito www.jimihendrix.com), alla vedova Lennon che non passa anno che non inondi il mercato con qualche miracoloso “ritrovamento” nei cassetti del marito; alla vedova Cobain che arrivò quasi alle mani con gli amici-colleghi dell'immenso Kurt per spartirsi i diritti del catalogo; alla madre di Jeff Buckley, che ha pubblicato anche i vagiti del figlio in fasce... Un elenco imbarazzante di ‘casi pietosi’, destinato in ogni caso ad allungarsi (sufficiente attendere la prossima morte d’autore…) per la gioia dei nekrofili kollezionisti di ogni dove...

Suggeriamo alla famiglia Barrett, che tanto si era premurata di proteggere Roger dai fan e dalla stampa (paradossale oltre che volgare che abbia deciso di mettere all'asta anche gli oggetti più insignificanti...), di far pagare un biglietto per accedere in prossimità della lapide: una sterlina per un fiore, due per accendere un cero.

Se Roger avesse mai l’idea di ‘ritornare’ in qualche altra ‘forma’, siamo sicuri che resterebbe dov’è.

(22 novembre 2006)

10.

Gli volevano bene e si stanno spartendo le spoglie. Nuovo stupro in casa Barrett.

Il cadavere di Syd Barrett torna a dare frutti. Lo scempio continua, anche peggio.
Perché se alla morte la famiglia aveva messo all’asta gli oggetti (gli arredi, la stessa casa…) appartenuti a Roger Barrett, sconcertando chi, come noi, ne aveva apprezzato negli anni il basso profilo e la strenua difesa della privacy, inqualificabile ci pare oggi l’offerta dei ‘versi d’amore’ da parte di una delle sue tante fidanzate giovanili.
Viv Brans, che oggi ha 61 anni, dopo aver ritrovato nel fatidico cassetto una poesia dedicatagli da Syd nel 1965 (con tanto di ritratto), ha dichiarato impudente all’”Indipendent”: “Lui ormai se ne è andato e posso lasciar partire questa cosa che sta qui a non far nulla. Le parole e i sentimenti resteranno sempre dentro di me”.

C’era da aspettarselo, dopo tutto. Un'altra delle cose di Barrett che, evidentemente, se ne 'sta lì a non far nulla' e che potrebbe più opportunamente fruttare qualche (misero) soldo (a detta degli esperti il foglietto, che andrà all’asta a Cambridge a fine mese, varrebbe dalle 1500 alle 3000 sterline...).

Permane, anche e soprattutto in questa circostanza, la sensazione di schifo, amarezza, nausea per quello che ci sembra a tutti gli effetti l'ennesimo stupro del cadavere, l'ennesima spartizione delle spoglie. Insensibile e irrispettoso del pudore, della riservatezza, della ritrosia con cui Barrett aveva chiaramente e strenuamente vissuto gli ultimi suoi trent'anni di vita, nonostante tutto.

Nonostante, viene da pensare a questo punto, soprattutto chi credevamo gli volesse bene.

(18 giugno 2007)

11.

Lo sconcerto dei fan più sensibili.

La vendita all’asta di oggetti appartenuti a Barrett, scatenò prevedibilmente le reazioni dei fan più sensibili all’idea che i fratelli avessero potuto anteporre meri interessi speculativi (per quanto, sembra, in parte finalizzati alla beneficenza) all’affetto e per il defunto.

Quella che segue è una breve ma significativa carrellata degli interventi circolati in Internet.

“A parte i quadri e i disegni mi pare un po' triste andare a vendere gli sgabelli piuttosto che la panchina di casa sua!!! Manco gli avessero pignorato i mobili.... Interessante la bicicletta. Che sia la famosa Bike??”

(Ginolo, dal sito Coolstreaming – https://www.coolstreaming.us)

 

“...speculazione...”
(Eugene, 4 settembre 2006, dal newsgroup it.fan.musica.pink-floyd)
 
“Non mi sorprenderebbe se venisse messo all'asta anche il cranio di Barrett bambino...”
(Mosley, 7 settembre 2006, dal newsgroup it.fan.musica.pink-floyd)
 
“Non hanno perso tempo i soliti avvoltoi a mangiare alle spalle del povero Syd... che operazioni di merda”.
(Idb, 7 settembre 2006, dal newsgroup it.fan.musica.pink-floyd)
 
 

“Oggi sono venduti all'asta i quadri di Syd Barrett.

“Sono iscritta come remote bidder, ma dubito che offrirò qualcosa, visto che raggiungeranno dei prezzi da paura. Con altri utenti internet si era discussa la possibilità di fare una cordata e comprarne uno, ma un gruppo di spiantati non può competere con degli stramegamultimiliardari. Poi per la verità non mi interessa molto possederli (disse la volpe...) e soprattutto sono contraria all'idea stessa dell'asta. Ok, il mondo non si fermerà per questo, ma il fatto che vengano messi all'asta anche i suoi quaderni di appunti ed i suoi mobili dell'Ikea (sì-sì, nemmeno Syd Barrett è scampato alla libreria Billy - più altri mobili dal nome non identificato) mi sembra qualcosa di terribilmente indiscreto.

(se morissi e venisse messa all'asta la mia cucina Varde - a parte che non la comprerebbe nessuno - gli astanti direbbero oh, come avvitava male le viti Barbara Jacob, e quante macchie, ma cosa ci faceva su 'sta cucina...)

Insomma, sono messe in vendita le reliquie del nostro Gesù Cristo dell'Inquietudine, e capisco bene per i quadri. Ma il resto mi puzza di venerazione: sono certa che lo stesso Syd sarebbe stato perplesso”.

(Barbara Jacob, 29 novembre 2006, dal sito Le mirabolanti avventure di Barbara Jacob – https://www.kitsch-en.net/diario/index.php?m=200611)

 

Aste on line: quel che resta di Syd.

Syd Barrett, membro fondatore dei Pink Floyd, è scomparso solo qualche mese fa e il 29 novembre si è già tenuta un’asta relativa a diversi cimeli o presunti tali provenienti dalla sua abitazione.

L’asta, svoltasi on line sul sito Live Auctioneers proponeva diversi oggetti personali, per la maggior parte mobili autocostruiti o ridipinti da Syd, che amava dipingere ma aveva un rapporto controverso anche con questo mezzo espressivo (si dice distruggesse molti dei suoi quadri subito dopo averli completati).

Di tempo dalla scomparsa ne è passato davvero pochino ma se da un lato sembra non fare notizia la vendita all’asta di uno dei suoi quadri e persino dei suoi strumenti per dipingere, e se un oggetto come un tavolo o una sedia fatti a mano e dipinti hanno il doppio valore collezionistico di oggetto d’arte e di cimelio appartenuto a un personaggio noto, viene da chiedersi perché mettere all’asta oggetti personali di poco valore come un banale albero di natale sintetico da supermercato o una poltrona che non ha altra “personalizzazione” se non il fatto di essere consumata nel punto in cui Syd (forse) appoggiava la testa.

Non possiamo certo conoscere le motivazioni di chi ha inteso mettere all’asta così presto tali oggetti e perché proprio questi, certo la cosa sembra abbastanza triste, per diversi aspetti…”

(Nicola Battista, 3 dicembre 2006, dal sito Web*.0? – https://blog.mytech.it)

 

“Nel nostro mondo il confine tra business e sentimenti sta diventando sempre più sottile...
Un'inedita poesia d'amore scritta da Syd Barrett, leggendario chitarrista dei Pink Floyd, sarà venduta all'asta a Cambridge verso fine mese.

L'ha messa in vendita la destinataria di quei versi, Viv Brans, che nel 1965 fu per molti mesi la girlfriend del musicista e ora ha 61 anni.

'Lui ormai se ne e' andato e posso lasciar partire questa cosa che sta qui a non far nulla - ha detto all'Independent on Sunday. Le parole e i sentimenti rimarranno sempre con me’'.

A voi il giudizio se è un gesto dettato più dal cuore o dal borsellino...”

(dal sito Rock in Road - https://rockinroad.blogosfere.it/)

“Lasciamo il dubbio anche se la probabilità dell'ipocrisia che lava la faccia alle fauci del borsello è altissima, i sentimenti non si vendono! Si conservano, al massimo si rimpiangono”.

(Savino, 21 luglio 2007)

 

Appendici

Cronologia dei principali avvenimenti collegati alla morte di Roger Keith Barrett.

2006

7 luglio

Roger Keith Barrett muore a Cambridge a causa di un cancro al pancreas.

11 luglio

La famiglia Barrett, portavoce il fratello di Roger, Alan, annuncia alla stampa la morte di Roger Keith.

Il Cambridge Evening News, quotidiano di Cambridge, riporta la notizia che sulla porta della casa di Barrett sono stati posti dei fiori (cfr. foto).

Anche la BBC manda l’annuncio dell’avvenuta scomparsa del “pifferaio”. L’integrale video su You Tube alla pagina https://it.youtube.com/watch?v=FoRR8tYgnYc

17 luglio

Rosemary Breen, sorella di Syd, concede la sua prima intervista da anni a Tim Willis, autore dell’ultima delle biografie in ordine di tempo su Barrett. Nell’intervista descrive il fratello come “una persona amorevole che non riusciva proprio a capire l’interesse della gente  per gli anni lontani trascorsi con i Pink Floyd ed era così assorbito dai suoi pensieri da non poter essere disponibile all’incontro coi fan”. L’integrale è disponibile al link del Time: https://www.timesonline.co.uk/article/0,,2092-2271741,00.html

21 luglio

Nick Mason scrive un suo ricordo di Barrett al Time, disponibile all’indirizzo Web:                                                                                   https://www.time.com/time/asia/magazine/article/0,13673,501060724-1215025,00.html

27 luglio

Un concerto-tributo a Barrett si tiene al Portland Arms di Cambridge. L’evento è finalizzato alla raccolta di fondi a sostegno delle ricerche sul cancro.

David Gilmour, durante un concerto in Austria, dopo “Shine on you crazy diamond” e “Astronomy Domine”, esegue una versione di “Dark Globe” in omaggio all’amico scomparso.                                                                                                                                                                                                     Il secondo canale della BBC manda un vecchio speciale dedicato a Barrett (già trasmesso nel 2001) dal titolo “Syd Barrett. Crazy Diamond: a moving account of Barrett's disintegration and struggle with the demons in his head”, con interviste a membri dei Pink Floyd e persone coinvolte nella sua vita.

In edicola, sul numero di agosto di Mojo, uno speciale dedicato a Barrett.

29 luglio

Concerto tributo al Venus 2 di Londra. Tre giovani band (tra cui gli Interstellar Overcoat e i Dr Robert) suonano pezzi di Barrett e dei primi Pink Floyd.

2 agosto

Record Collector dedica un ampio tributo a Syd.

4 agosto

Un nuovo concerto-tributo è organizzato a Cambridge, nei Grantchester Meadows, da alcuni studenti universitari.

11 settembre

La BBC annuncia la vendita all’asta della casa di Barrett, sita in St. Margarets Square a Cambridge (cfr. annuncio tra i materiali in appendice).

14 settembre

La famiglia Barrett da il suo consenso alla realizzazione di un monumento alla memoria di Roger Keith da posarsi in un parco di Cambridge. Il progetto è curato dalla New Syd Barett Appreciation Society , curatrice del sito The Astral Piper (http//:www.sydbarrett.org).

20 luglio

New Musical Express pubblica uno speciale dedicato a Syd.

21 settembre

La BBC trasmette un breve servizio girato nella casa di Barrett. L’integrale video all’indirizzo: https://dailymotion.alice.it/video/xf0hw_late-syd-barretts-art-auction-home_news

11 novembre

Il Cambridge Evening News riporta la notizia secondo cui Barrett avrebbe lasciato in eredità un milione e duecentomila sterline alla sua famiglia, ai suoi vicini di casa e ad altre persone a lui care.

20 novembre

Alla Cheffins di Cambridge si tiene l’asta dei beni posseduti da Barrett.

28 novembre

David Gilmour realizza un EP tributo alla memoria di Roger reinterpretando “Arnold Layne”.

29 novembre

La Cheffins comunica i risultati definitivi dell’asta (cfr. in appendice l’elenco completo degli oggetti, il numero delle offerte e il loro prezzo finale): la vendita ammonta a £123.690, pari a 164.876 euro.

1 dicembre

Il Cambridge Evening News Report riporta un trafiletto nel quale si informano i lettori che le due biciclette di Barrett messe all’asta sono state vendute a 10.500 sterline, mentre i quadri e gli schizzi per oltre 55.000.

2007

 

6 gennaio

In occasione del 61° compleanno di Barrett, a Sydney viene organizzato un nuovo concerto-tributo: all’Hopetoun Hotel  tredici band si alternano sul palco suonando cover di Syd e dei primi Pink Floyd.                                                                                                                                                              Sul secondo canale TV della BBC viene trasmessa la versione di David Bowie di Arnold Layne.

20 febbraio

Un quadro a olio di Barrett, intitolato “A Design for a Panel of Abstract Crosses”, viene venduto all’asta dalla Cheffins per 4.000 sterline. Syd l’aveva regalato a una sua ragazza (tale Vivien Brans) nel 1965.

10 maggio

A Londra, su iniziativa del produttore Joe Boyd, viene organizzato un grande concerto-tributo a Barrett intitolato “Madcap’s Last Laugh”. Al prestigioso Barbican Centre si esibiscono, tra gli altri, Robyn Hitchcock, Damon Albarn, Kevin Ayers e  i Pink Floyd con l’eccezione di Waters.

18 maggio

Viene data notizia dell’ammontare dell’eredità lasciata da Barrett: 1.750.000 sterline (2.730.000 euro circa), distribuite tra i fratelli. Ad Alan 420.000 (circa 560.000 euro), mentre a Donald, Rosemary e Ruth rispettivamente 271.500 (circa 360.000 euro) ciascuno. Rosemary riceve inoltre 300.000 sterline (circa 399.000 euro) ricavate dalla vendita della casa (fonte: https://www.contactmusic.com).

17 giugno

Vivien Brans, una delle fidanzate di Barrett, annuncia all’”Indipendent” che metterà all’asta una poesia d’amore scrittale da Syd nel 1965.

29 giugno

Il Cambridge Evening News pubblica la notizia che la poesia è stata battuta all’asta per £ 4.600.

4 agosto

Il Guardian, dando la notizia della vendita della casa di Barrett, rivela che dopo oltre un centinaio di visite, la casa è stata venduta a una coppia di francesi che l’hanno acquista semplicemente perché è piaciuta loro, ignorando chi fosse Barrett…

 

Why Not Buy Syd Barrett’s Bread Bin?

di Stuart Heritage

 

Hey you! Yes, you! Do you get a kick out of buying mundane domestic household objects that used to belong to dead, drug-ravaged hippy singers? You are? Well today is your lucky day - you have the chance to buy Syd Barrett's bread bin.

The family of dead Pink Floyd founder and big-haired, acid-wrecked posho visionary goon Syd Barrett have announced that they are to auction off many of his possessions next week, with some of the proceeds going to charity. And the Syd Barrett auction has apparently stoked up interest from around the world, with global Syd fans eager to snap up things that he owned before he died so that they can tell their friends "See that chest of drawers? That's Syd Barrett's chest of drawers. Yeah, I know."

It's all the rage for singers to auction off their stuff these days, especially if

a) it's right before Christmas and

b) they're dead.

Hardly a day passes without some old John Lennon tat being auctioned off, while still-alive - but strangely embalmed-looking - cannon-straddling power-pop priestess Cher recently made $3.5 million flogging off all her old shit. And whoever got their hands on Jerry Garcia’s old toilet is indeed a lucky individual.

Ever since Pink Floyd founder Syd Barrett died earlier this year, the charity auction of all his stuff has been inevitable. And now the dreams of the people who wanted to buy a bread bin full of wooden pegs that was made by the man who wrote and performed Dark Globe have been answered, as the Cambridge Evening News reports:

“Pink Floyd fans who dream of owning Syd Barrett's plastic Christmas tree will flock from around the world to bid at a Cambridge auction next week. The star - who died of pancreatic cancer in July aged 60 - left a range of bizarre items in his St Margaret's Square, Coleridge, home that will go under the hammer at Cheffins. Lisa Freeman-Bassett, of Cheffins, revealed the auction was already stirring up excitement. She said: "There is world-wide interest- we've had people from Australia phoning up to book tickets. "There is a huge range of items and a range of starting prices. We couldn't possibly say how high they will go."

Among these items are paintings that Syd Barrett painted, chairs that Syd Barrett sat in, notebooks filled with jottings about the weather that Syd Barrett wrote, and Syd Barrett's bike. Syd Barrett's bike is expected to sell for a lot of money because he wrote a song called Bike, and the auction would have probably made a lot more money if Syd Barrett also owned some golden hair, an octopus, a baby and some lemonade. Or if Syd Barrett wrote a song called Look At My Tatty Cushion.                                                                                                                                                                                          But if you don't succeed in buying any of Syd Barrett's mundane household items, there's always the Christmas day download EP of David Gilmour - performed Syd Barrett songs for you to get your hands on. The downloads available include two versions of Arnold Layne - one featuring vocals by David Bowie - and an acoustic version of Dark Globe.

Yeah, you're better off holding out for the bread bin

(24 novembre 2006, dal sito Heckler Spray - https://www.hecklerspray.com/)

 

I risultati dell’asta della Cheffins.

(Lotto 667) Tavolo dipinto a mano: £ 420 (22 offerte)

(Lotto 668) Sedia moderna da cucina dipinta: £ 400 (18 offerte)

(Lotto 669) Una credenza moderna a tre cassetti: £ 420 (22 offerte)

(Lotto 670) Una credenza a tre cassetti adattata e dipinta: £ 340 (18 offerte)

(Lotto 671) Mini Stereo compatto della Sanyo personalizzato: £ 550 (27 offerte)

(Lotto 672) Quadro a tecnica mista di paesaggio del Cambridgeshire: £ 3.800 (35 offerte)

(Lotto 673) Due taccuini a spirale formato A5: £ 1300 (19 offerte)

(Lotto 674) Un paio di tende fatte a mano con stampati animali danzanti: £ 600 (28 offerte)

(Lotto 675) Una credenza da cucina in formica adattata: £ 380  (17 offerte)

(Lotto 676) Una credenza a 5 cassetti dipinta: £ 360 (19 offerte)

(Lotto 677) Una moderna lampada da tavolo: £ 900 (19 offerte)

(Lotto 678) Un tavolino fatto a mano: £ 480 (25 offerte)

(Lotto 679Una scaffalatura di compensato a giorno: £ 190 (10 offerte)

(Lotto 680) Un tavolino fatto a mano: £ 480 (25 offerte)

(Lotto 681) Un tavolino in pino fatto  mano: £ 420 (22 offerte)

(Lotto 682) Un alberello di Natale artificiale addobbato: £ 800 (32 offerte)

(Lotto 683) Un taccuino a spirale formato A5 e un taccuino più piccolo entrambi contenenti appunti sulla storia dell’arte: £ 1700 (23 offerte)

(Lotto 684) Uno stereo Sharp di piccolo formato imballato nella scatola originale con la scritta “Vecchio hi-fi di Roger”: £ 750 (31 offerte)

(Lotto 685) Una cassettiera moderna a tre cassetti modificata e dipinta a mano: £ 240 (13 offerte)

(Lotto 686) Una cassettiera moderna a cinque cassetti modificata e dipinta a mano: £ 220  (12 offerte)

(Lotto 687) Una cassettiera moderna a tre cassetti: £ 340 (18 offerte)

(Lotto 688) Quadro astratto a tecnica mista: £ 6000 (38 offerte)

(Lotto 689) Porta lampada in legno fatto a mano: £ 460 (24 offerte)

(Lotto 690) La poltrona di Syd – una poltrona in pelle color crema reclinabile: £ 1100 (37 offerte)

(Lotto 691) Una cassettiera in pino modificata: £ 280 (15 offerte)

(Lotto 692) La cassetta degli attrezzi di Syd: £ 650 (29 offerte)

(Lotto 693) Piccola libreria in pino: £ 180 (9 offerte)

(Lotto 694) Una credenza fatta a mano dipinta: £ 300 (16 offerte)

(Lotto 695) Una scatola fatta a mano dipinta: £ 180 (9 offerte)

(Lotto 696) Struttura per letto singolo fatta a mano: £170 (8 offerte)

(Lotto 697) Una scatola di lana fatta a mano: £ 170 (8 offerte)

(Lotto 698) Una coppia di poltroncine: £ 550 (27 offerte)

(Lotto 699) Un tappeto kilim di lana: £ 700 (30 offerte)

(Lotto 700) Un raccoglitore per fogli formato A4: £ 1500 (16 offerte)

(Lotto 701) Due raccoglitori ad anelli per fogli A4: £ 2000 (15 offerte)

(Lotto 702) Cassettiera da cucina a tre cassetti adattata: £ 200 (11 offerte)

(Lotto 703) Un piccolo tappeto moderno: £ 600 (13 offerte)

(Lotto 704) Scaffale fatto a mano e dipinto: £ 280 (15 offerte)

(Lotto 705) Una credenza aperta fatta a mano e dipinta: £ 300 (16 offerte)

(Lotto 706) Una carriola moderna: £ 400 (21 offerte)

(Lotto 707) Una panca da giardino: £ 650 (29 offerte)

(Lotto 708) Un tavolino da giardino fatto a mano e trespolo per uccellini: £ 140 (5 offerte)

(Lotto 709) Un tavolino fatto a mano e dipinto: £ 460 (24 offerte)

(Lotto 710) Un grafico a torta che rappresenta il solstizio d’Estate e di Inverno: £ 5000 (34 offerte)

(Lotto 711) Coppia di paesaggi stilizzati a china : £ 6000 (15 offerte)

(Lotto 712) Una scatola con coperchio mobile fatta a mano: £ 700 (19 offerte)

(Lotto 713) Un cavalletto fatto a mano dipinto: £ 460 (22 offerte)

(Lotto 714) Il cavalletto di Syd: £ 550 (27 offerte)

(Lotto 715) Un porta lettere a scomparti fatto  a mano e dipinto: £ 480 (17 offerte)

(Lotto 716) Una scatola da lavoro dipinta fatta a  mano: £ 600 (21 offerte)

(Lotto 717) Materiali artistici assortiti di Syd: £ 1800 (19 offerte)

(Lotto 718) Dipinto astratto delle colline di Gog Magog: £ 6000 (18 offerte)

(Lotto 719) Acquarello della Terra e del Cielo: £ 4200 (21 offerte)

(Lotto 720) Dipinto ad olio di paesaggio estivo: £ 6500 (14 offerte)

(Lotto 721) Un tavolo adattato scolorito: £ 700 (25 offerte)

(Lotto 722) Una libreria “Billy” dell’IKEA: £ 160 (7 offerte)

(Lotto 723) Un tavolo fatto a mano dipinto: £ 600 (18 offerte)

(Lotto 724) Una copia del Compact Oxford English Dictionary : £ 900 (14 offerte)

(Lotto 725) Una raccolta di 23 libri sull’arte: £ 4000 (25 offerte)

(Lotto 726) Un armadietto a parete bianco fatto  a mano: £ 340 (18 offerte)

(Lotto 727) Un cuscino psichedelico: £ 1600 (22 offerte)

(Lotto 728) Una raccolta di otto cartine e di libri su viaggi e turismo: £ 1400 (28 offerte)

(Lotto 729) Rimanenze della biblioteca di Syd: £ 1700 (12 offerte)

(Lotto 730) Comodino a due cassetti dipinto e adattato: £ 200 (12 offerte)

(Lotto 731) Una cassettiera a cinque cassetti adattata e dipinta a mano: £ 440 (23 offerte)

(Lotto 732) Una coppia di altoparlanti fatti a mano: £ 1100 (22 offerte)

(Lotto 733) Uno sgabello dipinto: £ 4400 (33 offerte)

(Lotto 734) Un tavolino per il telefono: £ 420 (22 offerte)

(Lotto 735) Una chitarra classica moderna: £ 4000 (27 offerte)

(Lotto 736) Una coppia di altoparlanti dipinta e fatta a mano: £ 700 (20 offerte)

(Lotto 737) Natura morta con limoni e bottiglie verdi dipinta su una mensola firmata “RB Jan ’06”: £ 9500 (20 offerte)

(Lotto 738) Un porta pane di legno fatto a mano: £ 1400 (40 offerte)

(Lotto 739) Scartafaccio di Syd vuoto eccetto che per 5 pagine: £ 480 (25 offerte)

(Lotto 740) Lo scartafaccio principale di Syd: £ 2200 (23 offerte)

(Lotto 741) Natura morta di fiori secchi dipinta alla Camberwell School of Art: £ 8500 (8 offerte)

(Lotto 743) Una delle prime bici di Syd dipinta di azzurro: £ 5000 (1 offerta)

(Lotto 744) La bici di Syd - con cestino, “campanello che suona e cose che la rendono bella” (citazione da “Bike”!, ndt.): £ 5500 (33 offerte)

(fonte: The Cheffins Auctions House, 29 novembre 2006)

 

L’annuncio della vendita della casa della Cheffins.

A unique opportunity to acquire a 1930's property requiring up-dating and occupying an outstanding position in a highly regarded cul-de-sac to the south of the city centre.

A unique opportunity to acquire a semi-detached house originally constructed in the 1930's which has had very few alterations carried out in more recent times and provides an excellent opportunity for sympathetic improvement and up-dating. However, the property does have sealed unit double glazing almost throughout and gas fired radiator central heating. The property was formerly owned and occupied by Roger Keith Barrett better known as Syd Barrett the founder of Pink Floyd, the famous rock group. His sister Rosemary has prepared personal notes to accompany these particulars.

The property occupies an outstanding position in a small and highly regarded established residential cul-de-sac just off Cherry Hinton Road about one and a half miles south east of the city centre. St Margarets Square is a delightful and quite tranquil position yet so conveniently placed for access to the city centre, railway station and Addenbrookes Hospital.

ACCOMMODATION
with approximate room sizes.

 

FRONT ENTRANCE DOOR TO:

 

ENTRANCE HALL
with double radiator, recessed area beneath staircase rising to first floor.

 

CLOAKROOM
with w.c. and wash hand basin, window to side aspect.

 

LIVING ROOM
3.89m(12'9'') x 3.73m(12'3'') max
into bay window to front aspect with fireplace recess, radiator, telephone point.

 

DINING ROOM
4.11m(13'6'') x 3.28m(10'9'') max
into recess to either side of fireplace (sealed) with chimney breast, radiator, casement doors to rear garden.

 

KITCHEN
4.67m(15'4'') x 2.82m(9'3'')

with single drainer sink unit with shelves under and worktop to side, space and plumbing for automatic washing machine and space for other appliances, double radiator, windows to side and rear aspect with delightful views over the rear gardens, door to side access and gardens.

 

ON THE FIRST FLOOR

 

LANDING
with built-in linen cupboard.

 

BEDROOM 1
4.22m(13'10'') x 3.20m(10'6'')

with fireplace surround, telephone point, radiator, windows to front aspect.

 

BEDROOM 2
3.96m(13'0'') x 3.28m(10'9'')

with fireplace surround, radiator, windows to rear aspect with delightful views over gardens.

 

BEDROOM 3
3.10m(10'2'') x 2.79m(9'2'')

with radiator, hot water cylinder in corner of room and windows to rear aspect with delightful views over gardens.

 

BATHROOM

with bath and shower attachment, pedestal wash hand basin and w.c., radiator, windows to side aspect.

 

OUTSIDE

Front garden laid to lawn with shrubs and borders to side and pathway and gated access leading to rear gardens. There is potential to create a driveway / off street parking area to the front. The delightful rear garden is a special feature and extends to over 110ft in length and is principally laid to lawn with a great variety of mature shrubs, bushes and trees around, well stocked borders, outside tap and garden storage shed.

PERSONAL NOTES
from Rosemary Breen (nee Barrett, Roger's sister). Roger (Syd) Barrett was born in Cambridge in 1946. He attended the Boys County High School in Cambridge and following time at The Camberwell School of Art he co-founded The Pink Floyd. He was responsible for writing, recording and producing 2 hit singles (Arnold Layne and See Emily Play), most of the bands first album and some of the second. He was revered as the most gifted Icarus figure and was generally thought to be responsible for introducing psychedelic music to Britain. He lived at No. 6 St Margarets Square from 1981 to 2006. In August 1974, Winifred Barrett, the mother of Roger (Syd) Barrett moved into No. 6. She had previously for 20 years lived in a large family house where she had brought up 5 children, all of whom had left and she "retired" to St Margarets Square. She loved the house with shops nearby and friendly neighbours. She changed very little in the house apart from making a downstairs toilet from an existing pantry and building a lean-to greenhouse on the back of the kitchen. At this time my mother had 8 grandchildren living locally so there were many happy birthday parties and Christmas celebrations. In 1981 Roger returned to Cambridge from London and settled into the smaller back bedroom. After a while it was clear that Roger needed more space and my mother cam to stay with us, initially on a temporary basis that ultimately became permanent.

 

Roger loved the peace and quiet of St Margarets Square, hearing the children in the road playing and enjoying cycling to the local shops. He put his stamp on the house with frequent redecoration, building his own furniture, changing doors etc. In the front room he did his drawing and painting and wrote at length about art history. In the back room he relaxed and enjoyed listening to jazz. Upstairs he slept in all the bedrooms deciding which one as the mood took him. He had plans to use the loft as an art studio but never quite got round to it. The only intrusion to his peace being the occasional visits from fans. He could never understand why strangers wanted his time as the reason for his fame was always a mystery to him. His neighbours were very protective regarding his fan base and would sometimes deny all knowledge of him or even say he lived in the next road. He lived contently like this for 23 years until his death in July 2006.

 

SPECIAL NOTES
1. None of the fixtures and fittings are included in the sale unless specifically mentioned in these particulars. 2. Please note that none of the appliances or the services at this property have been checked and we would recommend that these are tested by a qualified person before entering into any commitment.

 

Have you got it yet?

di Dave Thompson*

Welcome to the world of Syd Barrett, a world that fell silent on July 7 this year, when it was announced that the diabetes from which he’d been suffering for years had killed him at age 61, at home in Cambridge. But it didn’t really fall silent, because things have never been that simple where Syd’s concerned. The only difference is, instead of the acolytes lining up at his front door, to see if he’ll answer it with his underpants on his head, they’ll be going to his grave instead, to dream the mystic visions that his music has always invoked, and mourn that the world never truly understood him That much is true - it never did. He understood the world, though, and he played it like a harp.

The story, as laid out both in the early accounts of Pink Floyd’s history, and across the first four discs in this collection, is simple. Graduating out of the workaday blues of the King Bees (the first two tracks, best-ever quality renderings of "Lucy Leave" and "I’m A King Bee"), Floyd were in the van on the way home from a gig somewhere, when Barrett started messing around on his guitar, mutating the chords of Love’s "My Little Red Book" and coming up with something else entirely.

The earliest known rendering of "Interstellar Overdrive" dates from Halloween 1966, some six months after the first Love album was released, and already it's changed beyond recognition - a 14-minute instrumental freak-out that was so in keeping with the tides of Psychedelia now lapping around London that, for the next six months, the band barely recorded anything else (fully one third of disc one is consumed by versions). But then "Arnold Layne" gave them their first hit single; "See Emily Play" followed it up, and Piper at the Gates of Dawn confirmed Barrett as the poet laureate of the British underground. Barrett and Floyd parted ways during the sessions for A Saucerful of Secrets, the Floyd's second album. You can hear the hewing, on the album itself ("Jugband Blues," once described as a self-diagnoses of schizophrenia, but really just a reaction to Waters’ increasingly noodle-packed meanderings) and more especially on bootleg. The last songs Barrett recorded with the Floyd, "Vegetable Man" and "Scream Thy Last Scream", remain in the official vault, Floyd's office once said, because it wouldn't be doing Syd any favors to let them be released. Booting him out of the band and convincing the world he’d gone insane, on the other hand...You’re halfway through disc three by now, and your mind is reeling to the treasures unearthed… alternate takes and obscure foreign acetates, possible Piper and Saucerful out-takes, brilliantine BBC sessions, strange flashes from the television, interview snippets and the occasional live cut (there’s more on disc six, but the sound’s a lot scratchier). Syd’s mind was apparently doing more than that, though. We may never know the truthful truth about his departure from the Floyd... did he jump, was he pushed, did he turn into a penguin and pour paint down Nick Mason’s periscope?

But when Floyd lost their muse, their management gained a solo artist, and discs three and four trace its trajectory. Barrett recorded two solo albums following his departure from Floyd, The Madcap Laughs (1969) and Barrett (1970). Both are locked within the twilight world of Syd's own supposedly burgeoning madness, both are trapped within their own legend. Fiercely idiosyncratic, they are nailed around songs that either stride purposefully towards pure pop immortality ("Octopus," "Late Night," "Terrapin") or else bumble and tumble into their own unsteady laps ("She Took a Long Cold Look,") ("Feel," "It Is Obvious"). But the biggest regret upon hearing them today is that you didn't hear them when they first came out, before all the mythologizing was kicked into play, and the albums could still be accepted on their maker's own terms. Because the legend really didn’t kick in for another four years. True, Barrett did fall ominously silent following the release of Barrett - a distinctly disinterested Rolling Stone interview, a couple of under-rehearsed gigs around Cambridge, the occasional sighting at his publisher’s office, and a secret liaison with former Tyrannosaurus Rex mainstay Steve Peregrin Took appear to sum up his entire musical output of the age. But that was all he’d done - fallen silent. There were rumors that he’d taken up painting... Floyd’s growing immensity, and sales of their back catalog certainly ensured he could afford that luxury, while Bowie’s decision to cover "See Emily Play" on Pin Ups would keep the wolf from the door even longer.

No one was saying he was in orbit, nobody thought he was strange. He was, simply, a recluse, and it wasn’t as if pop had never seen one of them before. When ZigZag magazine ran journalist Barry Miles’ account of the Floyd’s early years in August 1972, the worst account of Barrett’s state of mind were a few wistful regrets about his dislike of the circus into which Floyd’s pop star fame had suddenly plunged him, and the occasional night when the acid got the better of him. A year later, the Floyd themselves followed it up with their own account of those heady days, and the only mention of madness was in conjunction with his genius - the (tragically unrecorded) day he tried to teach the band a new song, and kept changing it subtly on every run through. The chorus, split between Barrett and Waters, had one of them singing "have you got it yet?" and the other answering, truthfully too, "no no no." And then the New Musical Express published Nick Kent’s masterful deconstruction of the disintegrating Barrett mind (13 April 1974), and suddenly everything fell into place… for EMI, who suddenly discovered an entire generation hankering for a couple of albums that hadn’t sold a sausage since 1970 (the Syd Barrett twofer was released just three months later); for the Floyd, who’d been struggling to follow-up Dark Side Of The Moon for two long years, then wrote the elegiac "Shine On You Crazy Diamond" practically overnight. And for Barrett, who was heartily sick of being asked for a comeback, and now had the perfect excuse to postpone it forever. "Sorry, but haven’t you heard? I’m mad." 

His own final recordings, barely half a dozen inconsequential crackles of guitar playing that wrap up disc four of this set, took place in August 1974 and, listening to them, his lack of interest in the proceedings is deafening. He was only in the studio because someone somehow persuaded him to do it (a room full of brand new guitars probably helped as well) and, apparently, he even brought a few guitars with him. But he knew what people were saying about him, and he also knew that, if he really wanted to be left alone, the best thing was to let them keep saying it. He had his own life away from music and, again, he had enough money coming in to keep it that way. If he truly had redirected his muse away from music and back to his first love, painting, why on earth would be need to try recreating it?  Rock legend likes to treat the Syd Barrett story like some kind of vast romantic tragedy, and draws on the events of a few months in his very early 20s as evidence of that. But what if it was all one giant piece of PR… something to keep the accountants off Barrett’s back, the back catalog ticking over, and Floyd didn’t exactly do badly out of their association with the legend, either.

But it’s interesting to note that, for all the hours of outtakes from both Madcap and Barrett that have flooded out over the last two decades of reissues, not one unreleased note of Syd’s time with the Floyd has ever been given the green light. Why is it that do you think? Well, the official line, first spouted for "Scream Thy Last Scream," but patiently reiterated on occasion since then, is that it’s to save Syd’s blushes. But what do you think would show him in the best light? The pristine BBC sessions, or completed studio masters that rate among this package’s most glittering highlights? Or the sound of him falling off his chair and dropping his guitar, as presented in living stereo across the bonus tracks on the official reissues?

All this, of course, is paranoid conjecture. There is no suggestion whatsoever that anybody ever connected with either Floyd, Barrett or their respective record companies ever woke up one morning and said "wouldn’t it be great if Pink Floyd had a tragic legend hanging over their head, a spirit that could be invoked whenever Roger writes another of his depressing songs about irrevocable loss, and that would keep the back catalog ticking over, while maintaining interest in the band as a whole." Nobody ever sat down with Barrett and told him, "keep your head down, sonny, and we’ll see you alright… stick the occasional song on our compilations, dig them out when we’re playing live, and talk up your own records for the next wave of romance-starved teenagers." And certainly nobody would ever suspect a major record label of any form of complicity in such a ridiculous plot. But one thing is for certain. A lot of people did very well out of Syd Barrett being the way he was, and one just hopes that Syd himself was one of them. With its painstaking resurrection and remastering of every known Pink Floyd (58 tracks) and Syd Barrett (38 tracks) recording that has yet to see an official release, together with close to two discs’ worth of often fascinating (if not, necessarily, especially revealing) interviews, Beyond Rhyme and Reason is the last period collection you will ever need to own; just as Syd Barrett remains one of the most individual, exciting and unpredictable songwriters of his or any other generation, a weaver of words whose very enunciation was pregnant with visions. He sings of gigolo aunts and you can see them parading, of wolfpacks and rats, and you see them as well. And then there’s "Octopus," lost in the woods with cackling sails and dream dragons, and that strange self-fulfilling prophecy as the madcap laughs in the bare middle eight.

The thing is, though, if Barrett was the madcap (well, John was the walrus), one’s thing for sure. If he is still laughing, then he’s laughing at us.

*(Veteran music writer Dave Thompson is a regular contributor writing on hard-to-find rarities. Dave is the author of many well reviewed rock biographies, including the recent Virgin Books' Red Hot Chili Peppers biography, works on The Cure and Kurt Cobain. He wrote Cream: The World's First Supergroup which was published early last year. In the past, Dave has written for Live! Music Review and he is also a regular contributor to Rolling Stone, Mojo and Q magazines)

(settembre 2006, dalla Webzine BigO, https://www.bigozine2.com)

 

“…nulla di tutto ciò che tu credi che io sia…”. Verità e mistificazioni intorno alla cometa Barrett.

1. Il “mistero”

Sono trascorsi trent’anni esatti dall’ultimo concerto di Syd Barrett a Cambridge, la città in cui è nato nel gennaio del ’46. Da allora, quello che era stato un promettente musicista e pittore è tornato ad essere semplicemente una persona, riconvertendo il nomignolo “Syd” nel suo nome di battesimo “Roger Keith”. Non ha più fatto nulla di pubblico da quell’anno, più niente, salvo soggiacere con una certa distaccata passività agli assalti frontali di fan e media che non ne hanno cavato un ragno dal buco.

Dal 1973, infatti, si sono succeduti articoli, biografie, video e il tono è stato complessivamente quello del rimpianto e della curiosità morbosa, ostinata ricerca di un perché che motivasse l’inatteso epilogo di una brillante carriera artistica.
Nessuno, possiamo dirlo con buona dose di approssimazione, è venuto a capo del “mistero” e come per la Sfinge, l’origine della piramide di Keope, la collina di Silbury, Stonehenge, il mostro di Lochness... una spiegazione inequivocabile è lontana da venire.
Io stesso, impegnato per anni nella ricerca di indizi convincenti, nel mio libro forse più “politico” ("Syd Barrett", edito da Stampa Alternativa nel 1989) mi sono limitato a riepilogare una serie di possibili, in parte probabili, concause scrivendo: “L’idea generale emersa da quei colloqui è quella che Barrett fosse una persona troppo fragile per sostenere le pesanti responsabilità che il grande successo del suo gruppo, i Pink Floyd, avevano ottenuto con un paio di azzeccatissimi single ed uno straordinario, rivoluzionario, trentatré giri: vari fattori interagenti fra loro (turbe risalenti alla prima infanzia; stress psicologico legato a profonde insicurezze; uso di droghe) avrebbero agito da catalizzatori della confusione che progressivamente ha isolato Barrett dal mondo”.
Ragioni vaghe, comunque, tutt’altro che verificabili e convincenti.

Lo stesso musicista, d’altronde, in un’inquietante, per certi aspetti illuminante intervista del dicembre 1971 – tra le poche rilasciate in attività – aveva detto di sé: “Non sono nulla di tutto ciò che tu credi che io sia”. Come a dire: “Lasciate perdere, non affannatevi a ricercare delle motivazioni del mio essere quello che sono, perché non ne verrete a capo”.

 

2. L’importanza di guardare agli effetti e non alle cause

Credo quindi che, forse più ragionevolmente e rispettosamente (questo infatti è in ultima analisi quello che ha chiesto e chiede Barrett), se si guardasse agli effetti più che alle cause, qualcosa di utile ne deriverebbe. Che si sia trattato di un “gesto”, quindi di una scelta cosciente, di una necessità, più semplicemente del caso, di una potente azione inconscia o quant’altro è a questo punto molto meno significativo e determinante che osservare quello che ne è conseguito, anche perché si tratta di elementi disponibili ed osservabili.

Possiamo disporre di numerose testimonianze dirette, una sola per quanto approssimativa perizia medica (“incurabile”, pare l’abbia definito Ronald Laing - l’antipsichiatra di “Politica della Famiglia”, “Nodi”, “Mi Ami?” -, il che suona quantomeno disorientante…), un paio di interviste “strappate” alla sorella – la sola persona che in questi ultimi anni ha rapporti continuativi con Barrett, nelle quali forse per la prima volta fa accenno ai “disturbi della personalità” del fratello: un volume considerevole di materiali che inseguono una ragione, tentano di afferrare per la coda un perché fallendo miseramente. E quel che appare paradossale, a pensarci bene, è che nonostante i continui appelli continui famiglia “a lasciarlo in pace” non sembra destinato ad esaurirsi.


3. La Babele delle fonti

Dopo il mio primo “Tatuato sul Muro”, pubblicato nel 1986, precario tentativo di offrire una ricognizione biografica critica, basata sulle poche fonti disponibili e raggiungibili da quel giovane freelance che ero, tesa a confutare le tesi ricorrenti che volevano Barrett vittima dell’abuso di droga, solo nel ’91 sarebbe uscita la prima biografia inglese, “Crazy Diamond: Syd Barrett and the dawn of The Pink Floyd” (in italiano, Arcana decise di intitolarla “Syd Barrett. Il diamante pazzo dei Pink Floyd”), scritta da Warkinson e Anderson. Contributo innegabilmente documentato e ricco di aneddoti inediti, ma ancora tanto patetico da concludersi con un irrealistico accenno di speranza in un ritorno sulle scene del chitarrista e il tentativo di carpire qualche cosa (ma cosa?) a Barrett in persona. Dopo aver riflettuto sul fatto che “se Syd non si fosse compromesso con il demone dell’acido la sua carriera sarebbe stata più lunga, ed è affascinante credere che potrebbe essere ancora oggi una delle maggiori attrazioni sulla scena”, avrebbero ammesso mestamente gli autori, presentatisi a casa del musicista: “La porta si socchiuse di pochi centimetri, e l’uomo di mezza età, che un tempo era stato re dell’UFO, scrutò timidamente fuori. Era occupato a guardare la partita alla televisione e no, non credeva che i suoi pensieri sui Pink Floyd e sulla sua musica potessero servire a qualcosa.” (pag. 138 ed. it.)

Una monumentale biografia di Nicholas Schaffner sulla storia dei Pink Floyd, sempre nel 1991, (titolo “Saucerful Of Secrets. The Pink Floyd Odissey””, in italiano: “Pink Floyd. Uno scrigno di segreti”, Arcana 1993) riservava ampio spazio a Barrett, sia rispetto ai suoi esordi con il gruppo che alla fase dell’isolamento da solista. La conclusione dell’autore, che non perdeva l’occasione di riportare una foto di Barrett scattata nel retro del suo giardino intento a vuotare la spazzatura (!) – omessa saggiamente nell’edizione italiana -, era quanto di più retorico e moralistico ci si potesse aspettare dopo anni di articoli e saggi critici: “(…) Occasionalmente, però, pensa ai vecchi amici Dave, Rick e Nick – e Rog – e si chiede perché non gli abbiamo mai fatto visita, o almeno non si siano mai messi in contattocon lui” (pag. 324). E ancora: “(…) Ma per quanto di rado si avventuri oltre i confini del suo giardino inglese, l’uomo che un tempo fu Syd è tranquillo e relativamente soddisfatto – e quasi deliberatamente ordinario, mentre attraversa le sue semplici routine quotidiane. A volte, sogna persino che presto starà abbastanza bene da poter sostenere un lavoro stabile in un ufficio di Londra, e potrà fare il pendolare, andando tutti i giorni nella grande città” (Ibidem).

Molto meglio il saggio di Julian Palacios, “Lost In The Woods” (1998), che affrontava il complesso scoglio della ricognizione delle fonti culturali e dell’analisi dei testi, con minima indulgenza sugli aspetti privati della vita recente; o il maniacale lavoro storiografico di David Parker (titolo: “Random Precision. Recording the music of Syd Barrett 1965-1974) che nel 2001 pubblicava (per ora, purtroppo, solo in inglese) la cronologia di tutte le sessions di Barrett ad Abbey Road, sulla falsariga dell'impagabile lavoro di Lewishon sui Beatles, con interviste ai tecnici del suono e produttori del tempo. Volume che integrava efficacemente il breve resoconto di Malcolm Jones, edito privatamente nell’’86 con il titolo “The Making of “The Madcap Laughs””, sulle sessions da lui prodotte per il disco.

Opere rare e preziose queste ultime tre, in un panorama di bieche operazioni nostalgiche, in bilico tra rimpianto (la logica dell’“e se…”), pietismo moralista (l’eroe psichedelico immolatosi nella ricerca della Verità), violento scandalismo, volgari campagne di promozione proibizionista (Barrett vittima dell’acido) - eredi di un’impostazione critica “romantica” che ha fatto della notizia ad effetto la cifra principale del giornalismo Rock.
 

4. “The Fool On The Hill”

Prima della pubblicazione di “Tatuato sul Muro”, comunque, il destino critico di Barrett era già irrimediabilmente segnato e, se si vuole, quel mio primo libro rappresentò per quanto in italiano il fiero tentativo di offrire una lettura alternativa alla vicenda umana e artistica del chitarrista.
Dalla seconda metà degli anni settanta, comunque, il suo ritiro dalle scene, per quanto mistificato dall’annuncio dell’intenzione di lavorare a un terzo disco, era stato lento ma irreversibile. Solo nell’aprile del ’74, poco prima di un nuovo fallimentare ritorno a registrare qualcosa di coerente (luglio-agosto 1974), il giornalista inglese Nick Kent aveva scritto il primo articolo retrospettivo sul musicista, rivelatore della smania di sigillarne definitivamente la parabola adottando categorie di analisi pseudo psicoanalitiche: “(…) Syd era il più giovane di una famiglia composta da otto fratelli; fu duramente colpito dalla improvvisa morte del padre quando aveva dodici anni, probabilmente rovinato da una madre energica che potrebbe avergli imposto una strana distinzione fra fantasia e realtà.” La diagnosi di Kent era inappellabile: “Syd Barrett era semplicemente un giovane compositore brillante e creativo il cui genio è stato in un certo senso amputato, costretto a trascinarsi in un limbo solitario accompagnato solo da una creatività ormai stentata e da una schizofrenia passiva e illogica.”

Lo stesso Kent, ossessionato pare dalla vicenda (“Beh, tutta la storia di Syd Barrett è stata per me una vera ossessione. Sono sempre stato affascinato dalla sua musica e volevo capire cosa gli fosse capitato. Ero anche sorpreso dal fatto che prima di me nessuno avesse scritto un pezzo su di lui… A me sembrava la cosa più ovvia da fare.”), bisserà la speculazione con un pezzo successivo più breve dalla lugubre allusione del titolo (“È ancora possibile che Barrett risorga dalla sua tomba?”, N.M.E. 1975), contribuendo a mantenere viva la flebile speranza di un suo ritorno sulle scene.
Lo stigma che accompagnerà Barrett da allora deve molto a Kent che, se ha avuto il merito di affrontare per primo e da vicino la storia di Syd, ne ha anche condizionato pesantemente l’approccio critico facendo risalire le cause del suo abbandono artistico all’abuso di droghe e alla malattia mentale, in quasi totale assenza di prove.
Certo, i Pink Floyd avevano cominciato a fare la loro parte, dapprima con “Brain Damage”, in “Dark Side of The Moon” (1973), esplicita allusione alla follia del loro iniziatore (“il pazzo è nel prato, il pazzo e sull’erba… E se la diga si squarcia prima del previsto, e non c’è più posto sopra la collina, e se la testa ti scoppia in oscure profezie, allora ti vedrò sull’altra faccia della luna…”), con quel riferimento al gruppo che “comincia a suonare canzoni diverse” (allusione all'ultima canzone registrata da Barrett coi Pink Floyd, "Jugband Blues"); quindi con “Wish You Were Here” (del 1975), un album ispirato all’idea di assenza secondo il suo compositore Waters, con diretti riferimenti alla storia del loro ex collega (dalla patetica invocazione della title-track alla ben più interessante e rivelatrice “Have a Cigar”, cantata da Roy Harper, sarcastica requisitoria contro il music biz).

Quanto ai fans, per lo più inglesi, già dalla fine del ’72 avevano fondato una fanzine dedicata al culto dell’eroe scomparso – “Terrapin” – con l’obiettivo di mantener vivo l’interesse su di lui e riportarlo sulle scene. Barrett, incontrando uno dei redattori della newsletter (che di news avrebbe raccontato ben poco…) diede inizialmente la sua distratta approvazione all’iniziativa – senza per altro grande entusiasmo – per contraddirsi in seguito dicendo “di lasciar stare il cane che dorme”, laconica immagine con cui rappresentare una condizione di irrimediabile solitudine.

Barrett, infatti, camminando per ore ed ore per le strade di Londra o rifugiandosi nella stanza 902 del "Chelsea Cloisters" di Chelsea, “circondato dalla polvere e dalle chitarre” come aveva detto qualche mese prima, nel ’71, o perdendosi tra la folla chiassosa del pub all’angolo dove frequentemente andava a bere una pinta di birra, era ingrassato oltre i 100 chili, trasfigurandosi, svestendo l’immagine smagrita e maudit dei giorni belli della psichedelica e riducendosi a ingombrante pachiderma inglese della classe media.
Già in quei giorni, allo stridente colossale successo dei Pink Floyd, che aveva creato, faceva contrasto il suo basso profilo. “Passo le giornate a guardare la TV”, avrebbe ammesso a chi gli chiedeva cosa facesse in quei giorni, nel corso di un’inquietante apparizione negli studios di Abbey Road dove i Floyd stavano concludendo le registrazioni di “Wish You Were Here”.

Se un articolo dell’americano Kris De Lorenzo, apparso su “Trousers Press” (“Careening Through Life. From the Floyd to the Void”) nel 1978, ripercorrerà la storia del chitarrista fino alla definitiva “sparizione” ricalcando lo stereotipo inaugurato da Kent e ripreso dai suoi epigoni, ancora i Pink Floyd infarciranno “The Wall” (1979) con numerosi riferimenti a Barrett, tra aneddoti pare desunti da esperienze reali (la piscina, il taglio delle sopracciglia, la distruzione della stanza d’albergo…) e considerazioni moralistiche sugli effetti del successo, in giorni di paradossale e volgare gigantismo tecnologico.

Dell’’82 è il ritrovamento a Cambridge di un Barrett smagrito e calvo, dopo un’operazione allo stomaco. Due giornalisti di Actuel, mensile francese specializzato in scoop e reportage, lo raggiungono nella casa della madre e gli estorcono una fotografia in cui appare palesemente a disagio. La conversazione è surreale in termini di giornalismo rock (di fatto Barrett non dice nulla di particolarmente significativo che riveli alcunché), logica rispetto alla condizione di un uomo tornato qualunque che ha poco da raccontare sulla sua vita di quei giorni e tiene saldamente chiuso l’accesso ai suoi sentimenti più profondi. Alla fatidica domanda “cosa fai quando sei a Londra, suoni ancora la chitarra?”, Barrett risponde laconicamente “No, guardo la TV e basta” e non ha molto di più da aggiungere.
Sono comunque gli anni ottanta a registrare un improvviso interesse per l’opera di Barrett da parte delle band inglesi dell’ultima generazione (Marc Almond, Robyn Hitchcock, Julian Cope…), pronti a rifarne i pezzi o a dedicargli un sentito tributo (addirittura una mediocre antologia dal titolo “Beyond the Wildwood” uscirà nel 1987). Gli stessi Sex Pistols, nel 1976, avevano tentato di contattare Barrett per proporgli di produrre il loro album d’esordio…
La fine dell’’88 riporta Barrett alla ribalta delle cronache scandalistiche con un becero scoop di “News Of The World”, quotidiano londinese specializzato in sentito dire, sul quale tale Mick Hamilton nell’articolo intitolato “L’acido ha messo al muro la star dei Pink Floyd” (occhiello: “Brutti viaggi hanno lasciato l’idolo Syd Barrett con il cervello danneggiato”) scrive: “Syd Barrett, la leggenda rock legata ai Pink Floyd, è ormai ridotto a uno zombie patetico e impazzito dall’LSD. Riesce a parlare molto a fatica, e ha persino cominciato a latrare come un cane…”.

Per quanto attenuata, di tanto in tanto la bramosia di scandalismo che circonda Barrett e che ammazza la cultura musicale fa capolino dalle pagine dei quotidiani inglesi. Si finge di cercare una risposta, ma quello che conta, in buona sostanza, è di continuare a fare spettacolo facendo leva sugli aspetti più deteriori della biografia.

Lo scorso anno, ad esempio, dopo la diffusa notizia di un Barrett prossimo alla cecità a causa di un aggravamento del diabete (il “Corriere della Sera”, dandone notizia il 5 ottobre 1996 non riusciva ad evitare di affermare che “Barrett è rinchiuso nel suo isolamento dai primi anni ’70, quando mostrò instabilità mentale causata dagli allucinogeni”), nell’aprile 2001 si è consumato l’ultimo avvistamento in ordine di tempo del musicista “scomparso”, in occasione del lancio dell’antologia “Wouldn’t You Miss Me” (“Non mi dimenticherete, vero?!”, emblematico titolo tratto da un verso del pezzo “Dark Globe”) con l’inedita “Bob Dylan Blues”. Il giornalista si presenta alla porta e tenta nuovamente di carpirgli qualcosa. Lui risponde: “Faresti meglio a lasciar perdere. Non mi occupo più di quelle cose”. L’ennesima foto rubata lo ritrae invecchiato (oggi ha 56 anni) ma magro e in buona forma fisica.
Per la fine di quest’anno, a dispetto dei periodici appelli della famiglia, è annunciato un nuovo contributo sulla vicenda dal titolo “The Half Life of Syd Barrett”, saggio biografico di Tim Wills che sarà edito dalla McMilliams. Per il lancio, naturalmente, si preannuncia che l’autore è riuscito a intervistare Barrett dopo oltre trent’anni dall’ultima vera intervista, anche se l’ex musicista non avrebbe spiaccicato granché. Ma guarda un po’…

5. Polvere e chitarre

Districarsi nel coacervo di materiali, illazioni, leggende, facili suggestioni è compito arduo per chiunque voglia avvicinarsi a una visione equilibrata della vicenda.
Nel ’71, mentre il mondo rock non sembra aver intuito quanto si sta preparando, sono quattro le interviste rilasciate da Barrett che segnano il lento trapasso dalla condizione di affermato musicista pop alla totale reclusione: una che verrà pubblicata da “Terrapin” postuma solo nel ’75 ritrae un Barrett motivato, dopo l’uscita dell'albumi “Barrett”, e pronto a registrare un terzo disco da promuovere dal vivo; quella di Melody Maker (del 27 marzo 1971), autore Michel Watts, propone un Barrett sufficientemente consapevole del suo ruolo nell’industria musicale, per quanto il manager Andrew King abbia sempre sostenuto che fosse intenzionale il montaggio incoerente dell’intervista per legittimare l’idea del deterioramento psichico del musicista.

Molto più interessanti appaiono però quelle pubblicate da “Beat Instrumental” (aprile 1971) e da “Rolling Stones” nel dicembre di quell’anno.

Nel corso della prima, l’intervistatore è Steve Turner, Barrett si contraddice nel parlare della vita a Cambridge – prima noiosa poi divertente, ammettendo che non ci sia molto da dire nello starsene tutto il giorno a suonare la chitarra e scrivere canzoni. Dell’esperienza coi Pink Floyd parla come di un periodo ormai lontano, mentre del presente pensa sia molto più interessante per il senso di libertà che sta vivendo in quello che fa. La conclusione, nell’accennare all’eventuale progetto di formare un nuovo gruppo e suonare dal vivo, è interessante per il grado di consapevolezza che il musicista rivela sui meccanismi interni al music business: “Come tipo di lavoro è interessante, ma anche molto difficile. Puoi essere abbastanza onesto da parlarne se riesci ad adattarti alla grammatica del lavoro. È eccitante. Concentri tutto su una cosa e questa si trasforma in arte. Non so se il pop sia veramente una forma d’arte. Direi che lo è come starsene seduti qui.”
Ancora più illuminante la conversazione raccolta alla fine di quell’anno da “Rolling Stones”. Raggiunto avventurosamente da Mick Rock, suo fotografo di “The Madcap Laughs” e oggi noto fotografo rock (ha lavorato, tra gli altri, per David Bowie…), nella casa di Hills Road, a Cambridge, “come penetrando in un mondo molto privato” – scrive - Barrett parla di sé come di un “altro”, accreditando chi ha voluto vedere in lui, suggestivamente, “un Rimbaud modello standard per le classi medie” (definizione del poeta pop Pete Brown). Lo stesso Rock è colpito dall’immagine "maledetta" di Barrett, “pallido, con le guance incavate, i suoi occhi riflettono uno stato di shock permanente”. “Ha quella bellezza da fantasma che normalmente si associa ai poeti del passato”, aggiunge.

Le sue risposte sono caratterizzate da un lento, meditabondo “flusso di coscienza”, un procedere per collegamenti logici o visivi (le rose del giardino, la casa…), sorta di caratterizzazione tridimensionale dei suoi testi più incontrollati (“Wolfpack”, ad esempio, o “Rats”…).
In quell’ora di intervista faticosa, in un’atmosfera surreale, c’è il Barrett venticinquenne, post pinkfloydiano, che ha intuito probabilmente prima di altri la fine del sogno “flower power” e sta cercando di ritrovare a fatica un equilibrio. È cambiata un’epoca radicalmente, solo tre quattro anni prima sembrano cinquanta e i ricordi si affollano nella mente imbevuti di una velata nostalgia (Hendrix, la scena dell’UFO…). Ci sono considerazioni particolarmente acute, in alcuni passaggi: Barrett nega di essere appartenuto ad un ‘movimento’, non ha più nulla da dire sull’LSD e gli altri psicoattivi che ha assunto in quantità; ammette di aver trascorso più tempo a chiacchierare del nulla che a fare e potrebbe per questo essere definito “ridondante”…

Colpiscono alcune espressioni apparentemente ermetiche, certo inusitate nell’ambito di un’intervista rock, tesa generalmente a sedurre l’intervistatore e il lettore, a catturarne l’attenzione. Parlando della sua condizione di quel periodo, dice: “Sto percorrendo la strada al contrario” o, ancor più nettamente: “Sto scomparendo, evitando quasi tutto”. Ammette che sin da bambino l’unica cosa che avrebbe voluto fare era quella di suonare la chitarra: “Ma troppa gente ci si è messa in mezzo. È sempre stato troppo lento per me. Suonare… Il ritmo delle cose. Intendo dire che sono un velocista. Il problema era che dopo aver suonato nel gruppo per qualche mese, non riuscivo a farcela. Posso sembrare complessato, ma è a dovuto al fatto che sono terribilmente frustrato dal lavoro. Il problema è che non ho combinato niente quest’anno, probabilmente ho continuato a cianciare spiegando questa mia inattività. Ma il lato positivo del non lavorare è che si può cominciare a meditare sulle cose.”

Sul finire dell’intervista, poi, altre ammissioni rivelatrici del disagio di dover raccontare il niente che sta accadendo alla sua vita artistica: “Non sono sempre stato così introverso come adesso”, dice. “Credo che i giovani debbano divertirsi più che possono, anche se mi sembra di non esserci riuscito.”

“… una volta sei coinvolto in qualcosa…”, riflette, lasciando in sospeso la frase. E conclude: “Non penso sia facile parlarne. Ho un modo di pensare molto irregolare. E non sono nulla di tutto ciò che tu credi che io sia.”

È un momento-chiave, questo, nella vicenda umana e artistica di Barrett. Raramente un artista ha scoperto parte del suo maremoto interiore a dispetto degli standard imposti dallo star-system.
Dopo l’intervista di Mick Rock, troppo spesso assunta a prova a carico della presunta follia del musicista, segue un ultimo tentativo di riabilitare la carriera artistica, per altro già ampiamente compromessa: nel ’72 Twink e Monck lo inducono a formare un nuovo gruppo, le Stars. Il repertorio è costituito da standard blues e da composizioni dello stesso Barrett.
I pochi concerti fatti si rivelano un mezzo fallimento a detta degli stessi compagni. Dopo quello al Corn Exchange di Cambridge (24 febbraio), in particolare, un articolo di N.M.E. a firma Roy Hollingsworth indurrà Barrett ad archiviare definitivamente la carriera.
Qualcosa succede quell’anno. Non sappiamo esattamente cosa, però. C’è un ricovero ospedaliero per una crisi nervosa e la quasi immediata dimissione. Ma niente di più. Il 1971 aveva annunciato il disagio vissuto in un ruolo non (più) suo, il ’72 ne aveva messo in atto la fuoriuscita. Troppo poco per giustificare ciò che, da quell’anno, comincerà ad affiorare dalle pagine delle principali riviste specializzate di musica pop e rock.


6. La società dello spettacolo

Certo, la storiografia Rock è stata ed è specializzata, a causa degli scarsi mezzi analitici di cui dispone (altra cosa, ad esempio, un saggio approfondito quale quello di Richard Middleton dal titolo “Studiare la popular music”, Feltrinelli 2001, che da la misura della complessità del fenomeno), a mettere in fila i fatterelli della biografia del musicista piuttosto che approfondirne le componenti della sua espressione artistica.
E anche nel caso di Syd Barrett, come in molti altri (mi sono occupato in questi anni delle storie di Nick Drake, Captain Beefheart, Tim Buckley), sufficiente inanellare alcuni episodi, alcune dichiarazioni, per sigillarne inequivocabilmente la storia. È lo psicologismo da quattro soldi che ha affondato il giornalismo rock.

Raramente, infatti, nel caso di un musicista rock, si è assistito alla quasi totale rimozione dell’opera a favore degli aspetti più triviali e morbosi (per lo più presunti quando non inventati di sana pianta) della sua vita come nel caso di Syd Barrett.

Ancora oggi, salvo qualche raro caso di cui si è detto (Palacios, Parker, un bell’articolo pubblicato da “Musiche” nel 1992 a firma Giampaolo Ragnoli) si è lasciato che la straordinaria innovazione rappresentata da Barrett passasse in secondo piano rispetto alla dimensione biografica. Rare, purtroppo, le analisi dell’opera. Parole lucide quelle di Chris Cutler nel suo “File Under Popular” del 1985 (pag. 183): “Barrett proiettò la chitarra in una nuova dimensione, andando oltre a quello che aveva già fatto Townshend; non più dipendendo dagli aspetti drammatici della scena, ma controllando gli effetti musicali di “rumore” producibili dalla chitarra e dall’amplificatore. Introdusse un’intera gamma di nuove tecniche, e, quel che conta di più, un inspirato e rischioso approccio alla performance. Con Cornelius Cardew degli AMM, (…) i Pink Floyd crearono effettivamente una nuova Forma, una forma espressiva unica per gli strumenti elettronici. Barrett stesso affrancò la chitarra dal grado di sviluppo che aveva raggiunto nel rock fino a quel momento. Importante, nell’economia di questo saggio, la totale e rintracciabile influenza che il R&B (“Candy & A Current Bun”, sul lato B del primo single dei Pink Floyd, è “Smokestack Lighting”), gli Shadows e la musica strumentale (in nota Cutler cita soprattutto l’esperienza degli AMM) ebbero su Barrett nella definizione del suo stile (e, conseguentemente, della maggior parte dei contemporanei)”.

Fred Frith, chitarrista degli Henry Cow, ancora oggi grande sperimentatore della chitarra elettrica, aveva analizzato la tecnica di Barrett prendendo spunto da “Apples and Oranges” in un suo breve intervento su N.M.E. nel 1973: “L’esempio più completo del suo stile è in “Apples & Oranges”, il mio pezzo preferito in assoluto, con il miglior uso di wah-wah di tutti i tempi, incredibilmente inciso e articolato. Syd usa la pedaliera ai limiti del feedback, che si interrompe solo alla fine della canzone. In particolare, le parti di chitarra, essendo ben costruite, danno coerenza e continuità alle varie “deviazioni” della canzone. Analizzato nel dettaglio, è grande il modo in cui Barrett costruisce le note una sull’altra in piccole unità melodiche, ognuna delle quali contribuisce a definire il brano nella sua complessità. Il suo modo di suonare, non solo suggerisce una perspicace concezione del suono, ma esplora regioni musicali mai raggiunte prima, che accompagnano i testi scritti quasi sempre con mezzi sensi, ambiguamente…”.

Ma cosa continua a provocare questa ostinata attenzione alla vita privata di Barrett?
Barrett non ha avuto lo stesso destino dei numerosi martiri – più o meno famosi – del rock. Né il torturato epilogo delle vite straordinariamente intense dei più grandi autori del jazz, della pittura o della letteratura.

Anzitutto, Barrett non è morto fisicamente.

Non è assimilabile per questo a Hendrix, Joplin e Morrison – icone rock dell’idealismo hippie nell’epoca post-Woodstock della musica come business, tragiche vittime dell’abuso di droga e alcol. Più recentemente, e non meno drammaticamente, Sid Vicious.
Non è stato ucciso (Lennon, Jaco Pastorius) né si è ucciso (Ian Curtis dei Joy Division o, più recentemente, Kurt Cobain).

Non è morto per tragiche fatalità o malattie (Frank Zappa, Bob Marley, George Harrison).
Non è scomparso senza lasciar traccia di sé.

È vivo. Abita a Cambridge in una via periferica, in una bifamiliare tipicamente inglese con il giardino sul retro. Abita lì dagli inizi degli anni ottanta, conducendo una vita assolutamente anonima, disturbata come si diceva dall’irrompere periodico della stampa o di qualche ingenuo fan dell’ultima ora che nella peggiore delle ipotesi si illude di ritrovare il Syd Barrett della copertina di “Madcap Laughs” – giovane, avvenente – e nella migliore un Roger Barrett 56enne loquace e ciarliero sul suo passato…

La sua storia personale ha più a che vedere, da tempo, con quella di un Rimbaud o di un Thelonious Monk, che abbandona la scena nel ’74 e si ritira a vita privata morendo nell’’82, dopo anni di quasi totale imperscrutabile mutismo. O di un Jerome Salinger, che dopo lo straordinario successo de “Il Giovane Holden”, del ’51, si trincera in una casa di campagna eludendo i continui tentativi dei giornalisti di irrompere nel suo privato (ultimo caso clamoroso, si ricorderà, il tentativo di biografia di Ian Hamilton, “In cerca di Salinger”, tradotto in Italia da Minimum Fax lo scorso anno).

Barrett, insomma, con questa sua vita anonima, raccontata dalla sorella nelle due interviste che mi concesse nel 1994 e 1995 (pubblicate successivamente nel CD-book "A fish out of water", edito da Stampa Alternativa), ci costringe partendo dalla sua esigua, folgorante opera (ancora disponibile sul mercato discografico, ancora “viva”) a confrontarci con la clamorosa frattura fra la vita pubblica che è stata e quella privata che è oggi, assolutamente alternativa a quella.

E nella dirompente dialettica fra pubblico e privato, fra aspettative stereotipate dello star system e vita reale, si insinuano alcuni salutari virus di riflessione che fanno piazza pulita della retorica dilagante che non ha saputo far altro che appellarsi alla droga e alla malattia mentale per spiegarne l’”assenza”, imbarazzata dallo sconcerto di accettare la fragilità e l’ipocrisia di un sistema costruito sulla falsità e la vigliaccheria del potere economico.
Qui, anzitutto, ci stanno le inquietanti responsabilità di un universo teso esasperatamente a ridurre l’espressione artistica in prodotto, merce da vendere e da acquistare, nell’asettica dimensione della continua “riproducibilità dell’opera d’arte”, intuita e analizzata da Walter Benjamin sin dal 1936, fondamento stesso dello star system hollywoodiano e dell’estetica del mito (ben osservata da Roland Barthes nel saggio “Miti d’Oggi” del 1968) .
Qui, anche, si intravedono le brucianti amare riflessioni del Guy Debord de “La Società dello Spettacolo (1968), dove l’”altro da sé” è simulacro e ridotto a merce di scambio nella dinamica del vivere e le non meno insinuanti conclusioni del Jean Baudrillard di “L’altro visto da sé” (Costa & Nolan, 1987).

Barrett assume un valore paradigmatico nella lettura “in negativo” dei fenomeni della comunicazione di massa dove importa sempre meno quello che si “è”, quanto piuttosto quello che si “rappresenta”, si “significa”, in un sistema di significazioni preordinato dalla macchina preposta alla costruzione del consenso.

Barrett è diventato via via “vittima della droga” negli anni della diffusione “di massa” dell’eroina e, anni dopo, nel recrudescente boom dell’ecstasy (un derivato dell’LSD); un “malato mentale” quando, manifestando sempre più apertamente il suo disagio, ha suscitato imbarazzo e sconcerto in un universo di falsi valori in cui “lo spettacolo”, costi quel che costi, “deve continuare”; è stato l’”eroe psichedelico”, “il maudit”, “il guru”, per tutti coloro che, irretiti nella seducente fascinazione dell’immaginario rock (anch’esso, va ripetuto, preconfezionato ad uso delle masse), hanno voluto trovare un modello di fuga dalle secche della razionalità.

Raramente in Barrett si è voluto vedere l’”uomo” - oggi come allora - ed è come se l’epilogo (sempre che di “epilogo” si tratti…) della sua bruciante esperienza artistica – il limite, la frattura, la caduta in un limbo imperscrutabile - sia lì, minaccioso, a ricordarcelo ogni volta che, per qualche ragione, ci ritroviamo a confrontarci con essa.
Moni Ovadia, recentemente, in un convegno sullo sport ha parlato di “fragilità umana nello sport” a proposito dell’immagine delle mani di Cassius Clay, affetto come si sa del “morbo di Parkinson”. E ha aggiunto: “Il grande Clay, l’invincibile, si scopre, invece, vulnerabile. (…) La grandezza del personaggio è nel limite. Bisogna far vedere le mani tremanti di Clay a ogni sportivo” (“La Gazzetta Sportiva”, 10 marzo 2002).

Bisogna continuare a raccontare la favola contemporanea lasciata da Barrett "nei rovi", bisogna tentare di decifrarne la fragorosa e ingombrante assenza dalle scene, in un'epoca in cui la sua generazione o se ne è andata per sempre o è ancora saldamente in attività (e “al potere”) con molto poco da dire.

(intervento al "Convegno interstellare sulla cometa Syd Barrett", nell'ambito della Va edizione della "Festa delle Invasioni", Cosenza 22 luglio 2002 – dal sito https://lucaferrari.net)

 

La settimana scorsa Syd Barrett mi ha detto... (confessioni di un ex-"barrettologo")

La settimana scorsa Barrett mi ha detto che i ciclamini del suo giardino hanno le foglie scure, “troppa acqua” ha detto, “è piovuto troppo a Cambridge…”. E’ piovuto così tanto, la settimana scorsa, che il soffitto del salotto si è bagnato, deve avere qualche problema con il tetto…

Barrett mi ha detto che in questi giorni fa fatica ad asciugare la biancheria (“c’è troppa umidità in questa casa!”) e che a forza di entrare e uscire dal giardino per controllare i ciclamini il pavimento si è ridotto uno schifo… “Troppo fango”, ha detto, e non aveva voglia di lavarlo… Syd Barrett mi ha detto, la voce era un po’ turbata per la verità, che alla TV non fanno più la serie di Star Trek e che appena ha cinque minuti liberi farà un salto in centro, forse da Harry’s Records, a comprarsi una sinfonia diMahler, la terza o la quinta, deve ancora decidere…

Pensate che mi ha anche detto che ha ridipinto il suo frigorifero (stavolta di viola, come i ciclamini) e che con tutta l’umidità che c’è in casa i suoi champignon crescono che è una meraviglia! “Quando passi di qui, vieni a vederli”, mi ha detto.

Se tutto questo fosse vero, naturalmente, a qualche giornalista (presunto) di Rockerilla o Rumore o del Mucchio Selvaggio o di Rolling Stones (edizione italiana) piacerebbe poter fare l’esclusiva, magari con una bella foto di Syd Barrett intento a buttare il sacchetto della spazzatura nel bidone davanti a casa… Se tutto questo fosse vero, naturalmente. Perché evidentemente non lo è…

(scritto il 25 gennaio 2005 per la "Vegetable Man Night!" (Lecco, 28 gennaio 2005)

 

 

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