LE POLEMICHE FANNO BENE ALLA COMUNICAZIONE? LOUISE HAVEL RISPONDE ALLA RECENSIONE DI MARIA RIGER.
A una recensione dell'amica Maria Riger a un libriccino di Emma Varlin dal titolo "Senza Misura. Quando Cremona bruciò di gentilezza" (pubblicato nella sezione delle recensioni di libri alla pagina la-dea-bicefala.webnode.it/recensioni-libri-musiciali/), risponde un'amica di Varlin, Louise Havel. Non so dire se le polemiche facciano bene alla comunicazione, certamente costringono a decentrarsi e a provare a comprendere il punto di vista dell'Altro. A Maria Riger, per quel che ne so, non è piaciuto anzitutto il linguaggio con cui Emma Varlin ha scritto il suo libro. Quanto ai contenuti, tutti opinabili, Riger sottolineava la paradossale coincidenza tra mondi apparentemente inconciliabili - quello cattolico, col suo penoso umanesimo globale, e quello anarchico, settario e venato da un ingenuo solidarismo - nell'enfatizzare la dimensione dell'umano in gioco. Conoscendola, so che Maria Riger è disperatamente senza speranze, per lei l'umanità è al tramonto, questo mondo finito, senza appello. Neppure la prospettiva della deriva e dell'ignoto la seducono...
La miseria della misura
«I realisti hanno paura dell'ignoto.
Il loro compito non è quello di cambiare il reale ma di gestirlo»
Georges Henein
Essendo amica e profonda conoscitrice di Emma Varlin, non ho saputo desistere dal scrivere qualcosa sulla recente recensione ''Una scrittura senza misura... appunto'' di tale Maria Riger, uscita sul blog Fuorché il provvisorio.
Parto subito col dire che non siamo davanti a nessun caso letterario, lo sciovinismo intellettuale di taluni non è questione di libertà, quindi non interessa a chi vuole parlare alle oppresse e agli oppressi incazzati.
La recensione che ho letto parte subito con il piede sbagliato, parlando di una chiamata alle armi di questo parossistico antagonismo militante (sic!). Mi chiedo, ma codesta Maria ha veramente letto il libricino tanto decantato?
Mi sovviene questa domanda, inoltre: ma che c'entra l'insurrezione che sviene con il venire ai ferri corti con l'esistente? Davvero si pensa che un sindaco di una cittadina agricola francese possa credere nella rottura generalizzata? Chi parla di isole dove gestire la propria felicità e chi parla di rompere con un mondo in putrefazione, tentando di insorgere, possono essere associati? D'accordo, alla signora Riger non è piaciuta per niente l'impostazione di critica del libro in questione, ma tirare fuori il Cesso cattolico, mi sembra arguzia di intellettualismo. Nel libro compare tutta la critica alla speranza, alla tecnica che devasta l'etica, dando forza al gioco delle passioni che insieme all'intelligenza sovversiva possono dare forza ad un mondo altro o io ho letto un altro saggio?
Veramente, la signora Maria non ha capito qual'è il filo che lega tutto il libro?
Andare alla deriva, dove piace a chiunque tenti di sperimentare la libertà è sempre stato sogno di ogni rivolta, sommossa e moto. La deriva non può essere compresa, va solo sperimentata.
O davvero vogliamo credere che con i nostri paradigmi incatenati possiamo vedere il futuro? Se la signora Maria ha pensato di trovare un libro con delle risposte ha proprio sbagliato... scritto.
Le insurrezioni sono domande inesplorate perché rinchiuse nel carcere a cielo aperto in cui viviamo, le risposte le danno i preti, i cosiddetti figli di Maria. Volere un mondo senza servi né padroni, senza gabbie né frontiere, senza merce né autorità, non vuol già dire generare mondi altri?
Ma alla fine capisco tutto, quando si dice: «come si guadagna il pane quotidiano Emma Varlin? Quante volte anche lei come noi è costretta a scendere a patti con questo mostruoso sistema cancerogeno che ci ripugna?», non poteva mancare la domanda inquisitoria, prettamente sbirresca, della signora Maria Riker. In questo c'è disonestà e tanfo di psicopolizia orwelliana, perché nel libro quando si parla delle sottomissioni quotidiane si usa sempre il noi, includendo la stessa Emma, e mai il voi intellettualoide gerarchizzato, come fa la recensione alquanto bislacca in questione. C'è chi cerca di parlare a quelli che vogliano ascoltare come fa Emma, c'è chi si parla addosso come fa Maria.
Alla fine poi si parla pure di azione diretta, ma non mi sembra che Gaetano Bresci o Sante Caserio fecero nella vita gli psicologi strapagati; e pure si cita Guccini, tessera PD (Partito Democratico che sta per Potere Denaro o se piace di più per Porco Dio) numero 3456 e credo che con questo non ci sia niente da dire in più sul suddetto personaggio in questione, grandissimo cantautore ma uomo con un cuore molto piccolo.
Nello scritto di Emma si dice anche, e si spiega bene, che tentare di liberare se stessi è il miglior modo di liberare gli altri. E non si parlerebbe del proprio sé? Poi, se Maria parla che il saggio vuole trovare un'azione politica rivoluzionaria, usando il termine disprezzato dal libro stesso cioè politica, allora le domande sono due: o non ha letto il capitolo l'inimicizia con la politica o non lo ha capito.
Detto questo, preferisco chi scrive contro la miseria, tentando di distruggerla, che becere critiche sul niente. Perché il niente è passivo, il nulla, su cui molti oppressi fondano la propria causa, può essere creatore. Cara Maria, butti Bauman e si legga Stirner o gli scritti di Bakunin del 1871/1872, vedrà che in quelle pagine furenti, tutto è stato detto. Non c'è niente da inventare, ma c'è solo da distruggere trovando subito la gioia di creare tanti mondi di liberi e di unici.
Unica cosa lieta della recensione è che si sente la voce di una persona sofferente per questo mondo, quindi basta poco per andare oltre a tutte le parole...
Cara Maria, se vuole, ci vediamo sulle barricate!
Louise Havel