LA MUSICA E' FINITA (PER LO MENO IN ITALIA).
A giudicare dai palinsesti radio-televisivi e dall’esangue editoria musicale non resterebbe che ammettere che è così. Da decenni in Italia si continua a scrivere e parlare dei soliti dieci cantanti/musicisti, altro non è dato. Chiedere conferma ai Vincenzo Mollica o ai Luzzato Fegiz.
Cosa ne è della cosiddetta ‘musica popolare’, ad esempio, ancora una volta ridotta a fenomeno da baraccone nelle edicole (sta uscendo l’ennesima raccolta di presunti brani di folk italiano cantati da Orietta Berti, Toni Santagata, Duo di Piadena…)? E del cantautorato d’autore (Maieron, Ghielmetti…)? E del jazz di ricerca? E dell’avanguardia colta? E del rock?
E il monopolio della cultura musicale in questo sventurato Paese, piaccio o no, è anche monopolio dei morti (di ‘certi’ morti…): da Gaber a De André non passa settimana che non esca un libro, non si lanci un premio alla memoria o un festival, non si pubblichi un album di inediti… dopo che in vita erano stati guardati con diffidenza, quando non con ostilità. Chiedere conferma ai Fazio.
Tra morti reali e morti viventi, l’Italia è il Paese dell'epopea gerontocratico-gerontofila: è un Paese vecchio, a sua volta morto, in cui non c’è spazio per il nuovo, non ci sono opportunità reali per raccontare e cantare storie diverse da quelle ammesse dai gruppi di potere (Repubblica/Espresso compresi) interessati esclusivamente a vendere le loro merci.