IL FALLIMENTO DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA E LE RAGIONI DELL'ANARCHISMO IN UN ILLUMINANTE SAGGIO DI ROBERT PAUL WOLFF ASSOLUTAMENTE DA RISCOPRIRE.

12.07.2017 01:02

"Una completa sfiducia nell'autorità costituita è diventato uno dei capisaldi della cultura popolare. Sono ben lungi dal deplorare questo atteggiamento. Anzi, lo considero una prova della fondamentale salute politica del popolo: essendo stato ingannato, turlupinato e imbrogliato, ha giustamente concluso che non poteva più fidarsi dei suoi rappresentanti eletti".

Così il filosofo americano Robert Paul Wolff nel saggio "In difesa dell'anarchia. Critica alla democrazia rappresentativa", edito da Elèuthera nel 1998 nella tradiuzione di Guido Accolti Gill e Amedeo Bertolo basata sull'edizione riveduta e corretta dall'autore nel '97 (la prima era del 1970!).

Un libro breve (solo 124 pagine), di facile comprensione, che affronta uno dei temi cruciali della contemporaneità attraverso l'articolazione in tre nodi concettuali, strettamente correlati fra loro, che sono altrettanti capitoli: "il conflitto tra autorità e autonomia", "la soluzione democratica classica", "al di là  dello Stato legittimo".

Quando un presunto leader politico come Renzi allude al consenso ottenuto dall'elettorato per giustificare lo strappo con parte del suo partito a chi si riferisce esattamente? E' sufficiente essere stati votati da un milione di cittadini per legittimare la propria leadership? E coloro che non sono andati a votare non hanno alcun diritto di decidere? La maggioranza ha comunque sempre ragione? Come garantire ai cittadini di partecipare concretamente all'amministrazione del Paese in cui vivono? Quali sono i fondamenti su cui poggia la legittimità dello Stato?

Questi alcuni dei temi affrontati da Wolff con un'analisi puntuale, puntigliosa, incalzante che conduce a riconoscere l'assoluto fallimento della democrazia rappresentativa, ancora oggi paradossalmente considerata il sistema più efficace e 'giusto' dai Paesi cosiddetti 'avanzati'.

La conclusione 'aperta' dell'autore, assolutamente condivisibile, è che "l'impossibilità di scoprire una forma di associazione politica che possa armonizzare l'autonomia morale e l'autorità legittima non è frutto dell'imperfetta razionalità degli uomini, e nemmeno delle passioni e degli interessi privati che distolgono gli uomini dalla ricerca della giustizia e del benessere generale. Molti filosofi politici hanno dipinto lo Stato come un male necessario, imposto agli uomini  dalla loro stessa incapacità di rispettare i principi morali, o come lo strumento di una classe di uomini contro le altre nell'interminabile lotta per il vantaggio personale. (...)  Il nostro dilemma non nasce nemmeno dai comuni limiti dell'intelletto e della conoscenza, che affliggono tutti tranne le persone eccezionali. (...) La vastità del nostro problema è rivelata dalla nostra incapacità di risolvere il dilemma tra autonomia e autorità, persino in una società utopica!".

Come dire che per quanto imperfetti,  i sistemi fino ad oggi sperimentati dalle organizzazioni umane sembrano le uniche risposte al tentativo fallimentare di conciliare autonomia personale e organizzazione della comunità, benché l'idea di una prospettiva anarchica della società (a cui il filosofo dedica le ultimissime pagine del saggio), "una società nella quale nessuno pretenda l'autorità legittima, o possa credere a una tale pretesa qualora fosse avanzata", non sia mai stata consapevolmente considerata dall'uomo.